(Renato Guttuso, La bandiera rossa)

di Nino Cuffaro

Giuliana Saladino fu una delle prime dirigenti donne del partito comunista in Sicilia. Si iscrisse al PCI ad appena 18 anni nel 1943 e se ne allontanò nel 1956, dopo l’invasione dell’Ungheria da parte della armate dell’Unione Sovietica e del patto di Varsavia. Diede corpo al suo impegno politico soprattutto attraverso la sua attività di giornalista, in un primo tempo scrivendo per le varie testate dell’arcipelago della stampa che faceva capo direttamente al partito, mentre dal 1957 cominciò la sua attività di cronista al giornale l’Ora di Palermo, facendosi notare per le sue inchieste sulla condizione femminile in Sicilia, sulla mafia, sugli emigrati, sul terremoto del Belice. Negli anni della militanza conobbe il compagno Marcello Cimino (il comunista soave, come lo chiamò Michele Perriera) e lo sposò, seguendolo ad Agrigento, dove il marito fu segretario della federazione provinciale comunista per diversi anni. Nei suoi anni agrigentini, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, svolse attività di direzione politica affiancandola alla sua passione per il giornalismo.


( Primo Maggio a Raffadali, anni ‘50, La sfilata delle cavalcature )

Il Primo Maggio del 1951 partecipò, nella sua duplice veste di dirigente comunista e cronista, alle manifestazioni politiche e alle feste di piazza a Raffadali, a fianco del senatore Cesare Sessa (“il comunista più amato dai siciliani”, come lo definì Paolo Spriano nella sua monumentale “Storia del partito comunista italiano”). Raffadali aveva una tradizione già consolidata di festeggiamenti per il Primo maggio. Cesare Sessa aveva organizzato delle manifestazioni per la ricorrenza a partire dai primi anni ’10 con la costituzione della “Lega dei contadini” (trasformata nel 1913 nel “Circolo socialista Lorenzo Panepinto”, dal nome del dirigente socialista di Santo Stefano di Quisquina assassinato dalla mafia nel 1911) e aveva continuato a rispettare la tradizione fino al 1923. Dopo il suo arresto per attività sovversiva e il consolidamento del regime fascista, i festeggiamenti del Primo Maggio si interruppero, per riprendere subito dopo la guerra in un clima sociale molto teso. I contadini e i braccianti erano mobilitati per l’occupazione delle terre incolte dei grandi feudi e per l’applicazione delle prime misure di riforma agraria che i proprietari terrieri, spalleggiati dalla mafia, non volevano rispettare. A Raffadali, la piccola Mosca, il partito comunista era molto forte (alle elezioni otteneva il consenso di oltre il 60% dei votanti) e altrettanto forti e combattive erano le associazioni sindacali ad esso collegate: la Camera del lavoro, la Federterra e l’Alleanza contadini. Quella del Primo Maggio, dunque, era una festa molto sentita e partecipata. Ecco il racconto che ne fa Giuliana Saladino sul quotidiano comunista “Il siciliano nuovo”.

(Primo Maggio a Raffadali, anni ‘50, il corteo, in prima fila l’on. Salvatore Di Benedetto)

Primo Maggio in un paese della Sicilia

Il Primo Maggio è entrato come una cosa viva nella tradizione popolare. Accanto al Corpus Domini e alla festa del santo patrono si è fatta strada in questi anni in Sicilia una festa nuova, a cui tutto il popolo partecipa, gioiosamente, a cui partecipano le donne, non per seguire a testa bassa, con i veli neri sul corpo, la statua di un santo, ma per cantare la loro forza e la loro gioia, la loro lotta per un mondo migliore. Lo abbiamo visto a Raffadali. La corriera con la quale arriviamo attraversa un paese in subbuglio, la gente si affaccia ai finestrini per vedere di che si tratta. Scendiamo. C’è la banda in giro che suona l’inno dei lavoratori e in piazza davanti alla chiesa stanno mettendo su festoni e bandiere e centinaia di lampadine. I contadini sono vestiti a festa, è martedì, ma sono tornati tutti dalla campagna per festeggiare il loro Primo Maggio.

(Primo Maggio a Raffadali, anni ‘50, il corteo per le vie del paese)

Le donne anziane sono con gli scialli neri e i bambini in braccio, ma le ragazze vogliono essere tutte eleganti, con le borsette di nylon, dei fermagli scintillanti fra i capelli e con i fiocchi rossi appuntati sul petto. Un gruppo di ragazze ha inventato una sua divisa e le mamme l’hanno cucita: portano una gonna blu e una camicetta bianca sulla quale spicca un nastro rosso. Quando si forma il corteo queste ragazze sono in testa. Hanno cucito la loro bandiera della Pace, ognuna ha trovato un colore dell’iride da mettere assieme agli altri. Portano alta questa bandiera e sanno cantare tutte l’inno della Pace. Non lo avevamo sentito mai in Sicilia. Ma loro sono state per tante sere accanto alla radio con carta e lapis, attente a cogliere ogni sera una nuova frase e finalmente dopo tante sere, una parola dietro l’altra, hanno messo su tutto l’inno con le sue belle parole. Poi c’è voluta la musica. Hanno preso un suonatore della banda e questo, sera per sera, ha trascritto la musica dell’inno che Radio Mosca trasmette. E in questo Primo Maggio la canzone della Pace è stata cantata da tutti: “il mondo intero solleveremo su chi la guerra scatenerà”. Dietro le ragazze, nel corteo c’erano i bambini e dietro i bambini che camminavano, correvano e vociavano tutti con tante bandierine rosse in mano, venivano le madri, le donne anziane con i più piccoli in braccio, le vecchiette a braccetto delle figlie. Centinaia di donne per quel giorno allegre, poi gli uomini e infine “ la cavalleria”, i contadini a cavallo con le loro bandiere rosse, quelle che hanno portato nei feudi.

(Primo Maggio a Raffadali, anni ‘50, il corteo in piazza con i contadini in testa)

Era un grande spettacolo e la gente si stipava sui balconi o si assiepava ai lati della strada per lasciar passare il corteo e accodandosi ad esso nel lungo giro per il paese, per più di un’ora su e giù per tante strade strette o lunghe in salita e in discesa, strade che confinano a un lato con la campagna e strade incassate tra le casette povere dei contadini. Siamo passati davanti a chiese e conventi, forni, mulini, tuguri, case di signori, botteghe di artigiani. Dai balconi stipati aspettavano il corteo le donne con larghe ceste in braccio, quelle ceste che loro stesse intrecciano per mettervi il pane o la frutta a disseccare. Si tenevano pronte con queste ceste piene di fiori di campo e li buttavano sulle bandiere, su quella della pace, che era in testa, sulle bandiere tricolori, sulle tante e tante bandiere rosse. Una piccola pioggia di fiori sulle bandiere, una pioggia di margherite gialle e di papaveri e dei tanti fiori che crescono ai bordi delle strade. Noi del corteo applaudivamo commossi. Applaudivamo a quei balconi ornati di festoni e fiori, a quegli uomini e a quelle donne che da un balcone all’altro avevano messo su degli striscioni “ Viva il lavoro”, “ Viva il Primo Maggio”, “Viva la Pace”, “ Viva l’URSS”, a quel paziente cittadino che aveva intrecciato con i fiori una grande falce e martello per esporla al suo balcone, a quelle tante iniziative che ognuno aveva pensato e realizzato per suo conto nelle strade più lontane dal centro. Ritornando in piazza, al corteo divenuto lunghissimo si univa un carro che rappresentava la più bella delle allegorie: operai in tuta che lavorano con il cemento, la cazzuola e la “cardarella”, e accanto a loro un grosso cannone che essi distruggono pezzo a pezzo e bruciano in piazza.

(Raffadali, il monumento alle lotte contadine)

Siamo arrivati sotto il Municipio, la folla si fa fitta e immobile per il comizio. E’ quasi sera. Prima parlo io della pace, della terra, dell’unità dei lavoratori di tutto il mondo. Poi parla il vecchio compagno che a Raffadali tutti amano e stimano, il seminatore di questa ricca messa di forze rivoluzionarie, il senatore Cesare Sessa. Intanto si accendono sul corso gli archi di lampadine tricolori ornati con centinaia di lampadine rosse. Ma non col comizio finisce il Primo Maggio. Alle 21 sul grande piazzale di fronte alla chiesa tutto illuminato e addobbato, si aprono le danze. C’è un’orchestra venuta da Agrigento che suona e inizia con una contradanza siciliana. Non sono solo gli uomini che ballano, come abbiamo sempre visto nelle leghe e sezioni contadine. Sono le ragazze siciliane di Raffadali, che ballano con i loro compagni il ballo dei nonni, una magnifica contradanza piena di complicate figure, davanti a una piazza gremita di gente che vuol vedere e applaudire. Brave queste ragazze, semplici, coraggiose. Hanno scavalcato una montagna di pregiudizi e tutti gli anatemi del prete e ballano felici. Un giovane compagno dirige la contradanza, gridando le strofe che fanno ridere tutti: “mentri lu sceccu la paglia rusica – forza maestru cu chista musica”. Poi tutti ballano, salgono dalla folla le coppie sullo spiazzale, ragazze e ragazzi, giovani sposi, fidanzati. E’ veramente una grande, meravigliosa festa, per il lavoro e per la pace. Un vecchio si ricorda di quando per il Primo Maggio erano in pochi a mettersi la cravatta rossa. Quante cose sono cambiate da allora!
(Giuliana Saladino, Il siciliano nuovo, 5 maggio 1951)