di Nino Cuffaro

Il 21 gennaio 1921 al congresso socialista di Livorno, nella difficile situazione economica del dopoguerra, mentre fuori imperversano le squadracce fasciste che assaltano e incendiano le camere del lavoro e le sezioni del Partito Socialista, l’ala sinistra del partito, guidata da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, si separa per dare vita al Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale comunista. Tra i protagonisti della nascita del nuovo partito anche un siciliano di Raffadali: l’avvocato Cesare Sessa, bordighiano, esponente della corrente ‘astensionista’ (i contrari all’entrata in guerra dell’Italia), eletto tra i 15 componenti del primo Comitato Centrale. Appena laureato, incline più alle lotte sociali che non all’avvocatura, influenzato dall’esperienza dei fasci siciliani e dalle tante piccole leghe di contadini e operai sorte in tutta l’isola nel tentativo di riscatto delle classi meno abbienti, Sessa si pone l’obiettivo di far recepire ai contadini e ai braccianti, che vivevano in uno stato di estrema miseria, una coscienza di classe. Dà vita a Raffadali, nel 1910, alla lega dei contadini (trasformata nel 1913 nel “Circolo socialista Lorenzo Panepinto” dal nome del dirigente socialista di Santo Stefano di Quisquina assassinato dalla mafia nel 1911), con l’obiettivo di organizzare le lotte per migliorare le condizioni economiche e sociali dei braccianti. In quel periodo si dedicò a un vero e proprio apostolato per far comprendere a una massa di diseredati analfabeti i rudimenti della prospettiva socialista. La sera, dopo il lavoro nei campi, gruppi di contadini e braccianti raggiungevano la casa dell’avvocato per apprendere i loro diritti, e quindi la necessità di dar vita a un’organizzazione di massa, a un partito che rivendicasse condizioni di lavoro più giuste e meglio retribuite, ma soprattutto che desse loro dignità e considerazione sociale. Non fu facile far acquisire ai contadini una coscienza di classe e il movimento contadino stentò molto agli inizi a svilupparsi, anche per la mancanza di parole d’ordine e di obiettivi condivisibili. La seconda Internazionale da Parigi aveva lanciato come obiettivo prioritario la socializzazione della terra e l’assegnazione delle terre incolte alle cooperative a conduzione collettiva, con l’associazione obbligatoria tra i coltivatori. Un’impostazione, questa, difficilmente comprensibile da una massa tanto affamata quanto profondamente individualista. Sessa e gli altri dirigenti del movimento socialista, profondi conoscitori dell’animo siciliano, capirono la necessità di adattare il dettato della seconda Internazionale e, di conseguenza, si orientarono verso un obiettivo più praticabile, mobilitando le masse al grido: ‘La terra a chi la lavora’, ‘La terra ai contadini’. Un obiettivo rivoluzionario diretto a colpire i latifondisti, i quali da sempre si arricchivano sulla pelle della povera gente che coltivava i loro sterminati possedimenti.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Sessa si schiera contro l’intervento militare italiano e sostiene la posizione neutralista in pubblici comizi (che gli costeranno l’arresto e il confinamento a Ivrea) e nel corso del congresso socialista tenutosi a Palermo nel dicembre del 1915. È quella l’occasione del suo avvicinamento alle posizioni sostenute nel partito da Amedeo Bordiga, principale esponente dell’ala antimilitarista. La crisi economica che segue alla grande guerra e l’esempio della rivoluzione sovietica innescarono il ‘biennio rosso’, con uno sviluppo tumultuoso di lotte di operai e contadini che chiedevano occupazione, aumenti salariali e la giornata lavorativa di otto ore. Saranno molte, tra le fila del movimento socialista, le vittime della repressione che ne seguì, che in Sicilia vede schierata la mafia a difesa dei padroni. Sarà Cosa Nostra ad assassinare il 14 ottobre 1920 il segretario della FIOM Palermitana Giovanni Orcel e il 26 dicembre 1920 il segretario della sezione socialista di Casteltermini Giuseppe Zaffuto con altri quattro compagni. Sempre la mafia, qualche anno prima, il 3 novembre 1915, aveva assassinato a Corleone il sindaco socialista e dirigente del movimento contadino Bernardino Verro. In provincia di Agrigento, grazie all’attivismo di Cesare Sessa e Domenico Cuffaro (esponente socialista di Sambuca di Sicilia), viene fondata la Camera del Lavoro (di cui fu primo segretario lo stesso Sessa) e si attivarono diverse sezioni del Partito Socialista che guidarono le proteste di piazza a Raffadali, Cianciana, Campobello di Licata, Canicattì, Santo Stefano di Quisquina, Ribera. In virtù di questo attivismo, nelle elezioni amministrative del 1919 (tra le prime a suffragio universale maschile) i socialisti conquistano la maggioranza in sei comuni della provincia e sei consiglieri provinciali, tra cui Sessa, eletto con 6.813 voti di lista. Grazie al grande lavoro di organizzazione delle sezioni sul territorio e ai conseguenti risultati elettorali, in quello stesso anno Cesare Sessa entra a far parte della direzione nazionale del Partito. È da dirigente socialista che partecipa al fatidico congresso di Livorno, e la mattina del 21 gennaio al teatro San Marco, con Gramsci Bordiga Terracini e altri, dà vita al Partito Comunista d’Italia: “Le sorti della Sicilia sono legate a tutta la situazione internazionale e la Sicilia non può non interessarsi alla rivoluzione mondiale; non può non seguire il PCdI perché esso risponde alla volontà fattiva di difendere meglio le sorti degli operai e dei contadini in lotta”. I comunisti esordiscono in Sicilia con 37 sezioni e 776 iscritti. In provincia di Agrigento, invece, gli iscritti sono 221, mentre la camera del lavoro, strettamente legata al partito, conta 7.000 tesserati, di cui 5.000 contadini.

(Manifestazione contadina in piazza Progresso a Raffadali)

Intanto arriva l’onda nera del fascismo e Sessa viene arrestato una prima volta nel gennaio del 1923 per attività sovversiva. Resterà in carcere tre mesi, ma nonostante la chiusura della sezione comunista e le diffide della questura, rimesso in libertà, organizzerà anche per quell’anno la festa del 1° Maggio a Raffadali, l’ultima volta prima della lunga pausa del ventennio mussoliniano. Durante il fascismo, pur con ristrette possibilità di movimento, mantiene viva in Sicilia una struttura clandestina del partito con la collaborazione di Giuseppe Montalbano e del giovane Salvatore Di Benedetto. È strettamente sorvegliato, subisce continue perquisizioni, fermi ed arresti. Poi, nel 1930 è confinato a Raffadali fino al 1943. Riacquistata la libertà di movimento dopo lo sbarco degli americani, prende parte alla lotta partigiana nel nord Italia tra le file della Brigata Garibaldi. Nel dopoguerra in Sicilia la situazione è esplosiva: alla miseria dilagante si aggiunge la delusione delle masse contadine per il sabotaggio sistematico da parte degli agrari dei decreti del ministro comunista dell’agricoltura Fausto Gullo, il ‘ministro dei contadini’. Vengono disattese le norme sulla equa suddivisione del raccolto tra proprietari e affittuari e sulla istituzione dei ‘Granai del Popolo’, organismi per l’ammasso del grano a prezzi politici. Su questo malcontento popolare si innesta il movimento separatista, che ben presto verrà infiltrato dalla mafia, che trasformerà l’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) in uno strumento di repressione violenta delle lotte contadine. La mafia agirà come braccio armato del fronte degli agrari che vogliono fermare le giuste rivendicazioni del movimento contadino. È del 1° Maggio 1947 la strage di Portella della Ginestra: quando la banda criminale di Salvatore Giuliano (nominato colonnello dell’EVIS) spara sulla folla inerme, provocando 11 morti (8 adulti e 3 bambini). Nel mese successivo alla strage avverranno attentati con mitra e bombe a mano contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, San Giuseppe Iato, San Cipirello: sui luoghi degli attentati saranno lasciati dei volantini firmati da Salvatore Giuliano che invitano la popolazione a ribellarsi al comunismo. Sono da ascrivere alla violenza criminale mafiosa anche le uccisioni avvenute in quegli anni dei segretari delle Camere del Lavoro di Sciacca, Accursio Miraglia; di Sciara, Salvatore Carnevale; di Corleone, Placido Rizzotto.

(In cammino per l’occupazione del feudo)

Sessa, tornato in Sicilia, viene eletto sindaco di Raffadali (carica che manterrà fino alla morte nel 1954) e nominato presidente della Provincia di Agrigento. Il primo incarico pubblico importante arriva con la nomina nel 1945 a membro della Consulta Regionale incaricata di redigere lo statuto autonomista, per bloccare la deriva autoritaria e criminale del separatismo siciliano. In quella commissione portò il suo contributo di giurista confrontandosi con intellettuali di diverso orientamento politico, ma di grande spessore culturale, come Mario Mineo, Giuseppe Alessi, Enrico La Loggia, Girolamo Li Causi. Scrivendo sul giornale “Il Lavoratore”, che diresse per alcuni anni, a proposito del separatismo Sessa afferma che “Non si tratta d’altro oramai che di difendere la democrazia appena riconquistata, poiché, in questa difesa è racchiusa la politica proletaria; la vera democrazia e il rispetto di essa non possono portare che al Socialismo”. Nel 1946 viene candidato all’Assemblea Costituente e manca l’elezione per pochi voti. Sarà invece eletto nel 1947 con un largo consenso (otterrà 41.544 preferenze su 99.055 voti di partito, più di qualunque altro candidato di tutte le liste) all’Assemblea Regionale Siciliana, da cui si dimetterà l’anno successivo in seguito all’elezione al Senato della Repubblica nella lista del Fronte Popolare (il raggruppamento che vedeva assieme comunisti e socialisti). I diversi successi elettorali e la quantità di preferenze riportate, confermano ampiamente quello che Paolo Spriano scriverà nella sua storia del Partito Comunista: “Cesare Sessa era il comunista più amato dai compagni siciliani”. Gli incarichi ricoperti lo portarono spesso fuori dalla Sicilia per compiti istituzionali, ma non abbandonò mai il lavoro assiduo di educatore delle masse popolari. “Organizzare il proletariato siciliano è stato sempre un problema non facile, perché qui in Sicilia non ci sono raggruppamenti ferrei di lavoratori specializzati, uniti in blocco compatto dai cancelli di una fabbrica, che costituiscono la forza di base, ma masse di contadini disperse giorno per giorno per le trazzere dei latifondi”. Come superare l’ostacolo dell’indole individualista tipica della cultura contadina? “Bisogna fare attiva propaganda cooperativistica e non come strumento elettorale, ma come mezzo per rieducare i lavoratori all’esercizio collettivo della loro libertà”. I frutti di questo assiduo lavoro non tardano a giungere. In provincia di Agrigento nel 1946 su 38 dei 40 comuni è presente una sezione della Camera del Lavoro e già dall’agosto del 1944 opera a livello provinciale la “Federazione dei Lavoratori della Terra”. Saranno queste strutture a guidare nel secondo dopoguerra il protagonismo delle masse contadine nella lotta per l’occupazione del feudo e nella rivendicazione dei diritti più elementari: salari adeguati, riduzione dell’orario di lavoro, assistenza sanitaria e previdenziale.

(Istituto Gramsci, Renato Guttuso, Occupazione delle terre in Sicilia)

Cesare Sessa, oltre che uomo politico di prim’ordine, fu un grande oratore e persona di profonda umanità, come testimonia la commemorazione del compagno Guido Gueli, che gli succederà nella carica di sindaco di Raffadali. “Fu un maestro e un grande artista della parola. Bisognava vederlo tutto proteso alla ringhiera del balcone, con quella sua magra figura di asceta, con gli occhi sfavillanti di passione. Il suo apparire in pubblico suscitava un uragano di applausi. Nei poveri, nei miseri, negli sfruttati, i suoi accenti suscitavano la speranza di un avvenire migliore, di una società più giusta. Si inumidivano gli occhi degli umili i quali si sentivano per la prima volta considerati come creature umane, come fratelli e ne gioivano”. Ecco perché ai funerali “Piangevano i contadini, con la mantellina nera avvolta attorno alla faccia. Piangeva il popolo degli umili, dei diseredati che sempre si videro accolti con affetto e compresi” (l’Unità). Quando i contadini raffadalesi emigrarono in massa in Argentina portarono con loro, come simboli della storia comune e speranza di un futuro migliore, l’immagine della Madonna dei Malati e il ritratto di Cesare Sessa. Quel ritratto, riportato in Italia dal papà dello scrittore Mimmo Galletto, si trova oggi nella Casa del Popolo di Raffadali, intestata proprio a Cesare Sessa, e sembra ricordare ancora le sue parole: “La via del socialismo è difficile, è dolorosa, ma bisogna andare avanti. Un avvenire degno di essere vissuto sarà la nostra conquista; ci sentiremo allora veramente tutti fratelli, uomini liberi e cittadini del mondo; questo sarà il premio che ci saremo conquistati”.