di Nino Cuffaro
 
Vittoria arriva a Raffadali nella primavera del 1945, quando ancora non ha compiuto 28 anni, giovanissima ma con un vissuto già intenso: ha alle spalle anni di lotta partigiana. È nella lotta di liberazione che ha conosciuto a Milano Totò Di Benedetto, che ha deciso di seguire nel suo ritorno in Sicilia. Trova una terra liberata dal fascismo, ma sotto il giogo pesante del sistema feudale e del potere mafioso, che ne rappresenta spesso il braccio armato e violento. Per lei, dirigente comunista, donna di cultura, intellettuale raffinata, che ha frequentato l’università di Firenze e vissuto durante la resistenza tra Milano e Roma, già direttrice della “Casa della cultura di Milano”, fondatrice dell’Unione Donne Italiane e responsabile della rivista “Noi Donne”, dev’essere stato un impatto duro quello con un paesino siciliano dell’entroterra. In quel tempo, a parte la piazza principale e la piccola zona centrale, tenute decorosamente, le strade erano un misto di acciottolato alla buona e terra battuta, che si trasformava in fango durate le piogge invernali; le case di pietra e gesso con camera e catoio erano piccole, fredde, poco luminose e senza acqua corrente. Quelle abitazioni, dove spesso si viveva in promiscuità con gli animali, erano quasi tutte prive di allaccio alla fogna e gli orinali venivano svuotati ogni mattina sulla pubblica via, formando un rigagnolo di acque nere che si avviava a valle con il suo insopportabile olezzo. Case sovraffollate da un’umanità dolente, dal corpo piagato dalle fatiche del lavoro bestiale delle campagne. Lavoro che, quando c’era, iniziava con il buio che precede l’alba e finiva con il buio che segue il tramonto, ed era talmente malpagato che spesso non consentiva neanche di sfamare la famiglia. Vittoria trova una realtà difficile, fatta di miseria, di malattie diffuse, di fame, che agli occhi di quei contadini poveri, svuotano il significato della libertà ritrovata. L’attende una nuova lotta di liberazione.
 
Vittoria fu subito consapevole che l’arrivo di una donna giovane e bella, dalla parlata toscaneggiante, che sapeva e poteva parlare con gli uomini, con i vestiti colorati e i capelli al vento, che contrastavano con il monocromatismo nero dell’abbigliamento delle nostre donne e l’immancabile fazzoletto a coprire la testa, avrebbe attirato dalle imposte socchiuse sguardi di attenzione e diffidenza, curiosità e timore. Però, imparò presto, se non a parlare, almeno capire il dialetto e soprattutto, da acuta osservatrice, ad interpretare gli sguardi, la gestualità teatrale dei raffadalesi e i loro silenzi. “ Per anni ho girato casa per casa, parlando con la gente, entrando nelle loro case, senza arricciare il naso di fronte alla loro povertà, quando nello stesso alloggio vivevano persone e animali. Ero la “continentale” e naturalmente si aspettavano superbia e disprezzo. Mi sono guardata bene non dall’esprimerlo, ma dall’averlo”. Ascoltava molto e cercava di capire, e più conosceva, più comunicava con le donne, singolarmente e in gruppo, spiegando i rudimenti del comunismo e facendo crescere la consapevolezza dei loro diritti, arrivando così a costruire in poco tempo una delle prime sezioni femminili del partito comunista in Sicilia.
 
A Raffadali trovò un terreno fertile per le lotte sociali. Era la città di Cesare Sessa (avvocato, dirigente socialista, tra i fondatori del Partito comunista d’Italia nel 1921, membro del comitato centrale del partito), che aveva saputo sensibilizzare all’impegno politico vaste masse di contadini e braccianti. Già durante il fascismo, in occasione della costruzione della strada Raffadali-Cattolica Eraclea, nel 1930 e nel 1931 i lavoratori bloccarono il cantiere e scesero in piazza più volte, richiedendo aumenti salariali e la limitazione della giornata di lavoro ad otto ore. In quelle occasioni, per la prima volta le donne, con i capelli raccolti dall’immancabile fazzoletto nero, dimentiche della tradizione e delle convenzioni sociali che le volevano a casa a badare alla famiglia, lasciando agli uomini la vita pubblica, scesero per le strade a manifestare a fianco dei loro compagni. Da allora, le donne saranno una presenza importante nelle lotte sociali a venire, in particolare nelle vicende del secondo dopoguerra che porteranno all’occupazione delle terre incolte e alla dissoluzione dell’economia del latifondo.
 
(Le donne manifestano per le vie di Raffadali)

La prima segretaria della sezione femminile del partito comunista fu Letizia Di Benedetto. L’impegno politico vide in prima fila donne del popolo come Maria Lo Pilato e Nena “Birbigliuna”, e donne della piccola borghesia locale che avevano assimilato la passione politica già in seno alle loro famiglie, come Irene Di Benedetto (sorella di Totò Di Benedetto) e Olimpia Sessa (figlia di Cesare Sessa). Donne come queste contribuirono molto a cambiare la condizione femminile. Ricordava Vittoria: “La vita della donna era una vita condizionata, dalla nascita alla morte. Condizionata perché da bambina, da ragazza, da moglie, da vedova doveva vivere in un determinato modo, non poteva prendere decisioni, non poteva avere un sentimento libero; ma c’era stata la guerra, gli uomini erano via, le donne avevano retto il peso della casa, dei figli, della terra da mandare avanti. Quindi, avevano preso coscienza di sé, e adesso uscivano. Ricordo le grandi manifestazioni: loro che non erano mai potute uscire di casa, erano le prime adesso in cima ai cortei. Questa è stata la più grande rivoluzione che si è compiuta in Sicilia in quegli anni.” E le cose cambiarono rapidamente se Vittoria, che fino a pochi anni prima come tutte le donne non aveva neanche il diritto di voto, nel 1954 diventa il primo sindaco donna della Sicilia nel comune di Santa Elisabetta. Con lei come punto di riferimento, le donne diventano presenza costante e sempre più numerosa nelle manifestazioni politiche, nelle proteste di piazza, nelle sfilate per il primo maggio, per chiedere tutto quello che mancava per una vita meritevole di essere vissuta: il lavoro, una casa dignitosa, l’assistenza sanitaria (il sistema sanitario nazionale era di là da venire ), la scuola per i figli (il tasso di analfabetismo era altissimo tra la povera gente), la pensione per i vecchi braccianti. Grazie a questa capacità di mobilitazione di massa, alle prime elezioni regionali del dopoguerra, il 20 aprile 1947, a Raffadali il Blocco del Popolo (l’alleanza tra comunisti e socialisti) ottiene una maggioranza schiacciante con 4.055 preferenze, contro 1.011 voti della Democrazia Cristiana e 759 dell’Uomo Qualunque. Raffadali diventa una “città rossa” e lo rimarrà fino allo scioglimento del partito comunista.  

Oggi Vittoria non c’è più, se ne andata nel 2006 in un giorno di primavera, la stessa stagione in cui era arrivata a Raffadali, a pochi giorni dalla morte del compagno della sua vita. In città il suo passaggio è ricordato dalla piccola piazza intestata a lei e a Totò Di Benedetto, davanti il palazzo dei Montaperto, che fu la sua dimora.  Il suo nome e il suo ruolo storico sono poco conosciuti dalle nuove generazioni, ma il ricordo di lei vive nelle persone che hanno avuto il privilegio di conoscerla e frequentarla.