di Tano Siracusa

All’improvviso il materasso sobbalza leggermente con un suono vicinissimo e soffocato, come di fisarmonica. Poi nel buio qualcuno mi tira i capelli.
Così alla fine mi ha svegliato un gatto, non il rumore della movida in via dei Candelai.
Il rumore c’era, come mi aveva avvertito Juan, la musica da discoteca sparata dalle casse. Quel suono percussivo, sempre identico, in fondo ipnotico avevo pensato prima di addormentarmi.
Dopo una notte movimentata la luce del sole è ancora più gradita. Andiamo verso il mare, ha detto Juan che aveva dormito nella stanza meno esposta al baccano notturno e con una maniglia a prova di gatto. Perchè adesso il mare a Palermo, prima invisibile, si vede anche da Corso Vittorio Emanuele.
La mattina alle sette la città è silenziosa.
I palermitani che vivono nel centro storico hanno appreso in questi anni che, anche se appiedata, la folla emana un’onda sonora che cresce con l’alzarsi del sole e che raggiunge verso mezzogiorno i piani alti dei palazzi umbertini delle vie principali o i terzi e quarti piani di quelli più popolari delle vie laterali. Una bolla sonora che nasce dal silenzio dell’alba, che all’inizio è solo un fruscio di passi, un brusio diradato e che di notte esplode attorno ai locali della movida.
Di mattina presto i pochi che camminano o corrono o che scivolano sulle biciclette si riflettono sulle vetrine dei negozi ancora chiusi, appaiono e scompaiono fra i manichini illuminati dal sole ancora basso.
Anche questi nuovi paesaggi sonori sono stati creati da Orlando. Questo silenzio, il rumore crescente della folla, il frastuono della movida notturna sorvegliata dalle pattuglie in divisa.
A Palermo c’è stato un prima e ci sarà un dopo Orlando.
La sua decisione perseguita fra mille opposizioni, contrasti e proteste di chiudere progressivamente al traffico il centro cittadino restituendolo alla visibilità ha segnato il prima e il dopo, dimostrando che un sindaco può cambiare il panorama visivo e sonoro degli abitanti e dei visitatori.
Già nei primi anni ’60 McLuhan scriveva che le automobili nascondono le città, le rendono invisibili.

Ma il traffico automobilistico copre anche il suono dei viventi, quell’onda sonora che nel centro pedonalizzato di Palermo cresce durante il giorno, si impenna nel cuore della notte, lentamente si spegne, e poi torna a crescere.
Quella decisione di Orlando ha costituto la premessa del boom turistico di Palermo, delle conseguenti ricadute sul mercato immobiliare in centro e sulla trasformazione delle vie principali, delle attività commerciali, di un look urbano modellato in funzione della offerta turistica. Una trasformazione avvenuta in tutti i più importanti centri storici, ad eccezione di Napoli forse, che ha magie e trucchi a sufficienza per trasfigurare anche la baraonda del traffico in un’attrattiva.


Palermo, il suo centro, si è dunque resa visibile e si è messa sul mercato riscuotendo subito un grande successo di pubblico.
Meno unanime il successo di critica. Quella di non pochi intellettuali e artisti che guardano e raccontano un’altra Palermo, l’intera città oltre l’area bonificata dal traffico e non beneficiata neppure dalla risacca del boom turistico.
La Palermo delle periferie, di Brancaccio, dello Zen, di Danisinni, la città degli analfabeti, degli emarginati di cui si occupano i fra Mauro e i Biagio Conte, o quella degli stessi artisti esclusi dai giri che contano perchè privi delle relazioni giuste. La Palermo delle consorterie, dei soliti noti.
Oggi la folla che sciama di giorno per le vie del centro guarda in alto, vede la fuga dei palazzi nobiliari, le loro facciate, quelle delle chiese e vede meno lo squallore di certi ’bassi’ dietro l’angolo, la sporcizia in una città dove la raccolta differenziata è quasi inesistente, riesce perfino a non vedere la brutta installazione ai Quattro Canti.

Può non piacere ma il panorama è cambiato. Su questi marciapiedi pochi anni fa i pedoni guardavano in basso cercando di non urtarsi, mentre sulla strada il traffico tracimava nelle piazze grandi e piccole, gestite da posteggiatori che interpretavano lo spirito della città.
Gli spazi adesso si sono allargati e le ore sembrano rallentare. Qualcuno comincia a sistemare gli ombrelloni e i tavoli negli spazi una volta riservati alle auto.
E’ facile, dice Juan, per chi vive in centro sedersi a un bar la mattina e trovarsi dopo un po’ a parlare con un milanese, un’argentina e un palermitano che tiene d’occhio dal tavolo del bar sulla strada il suo negozio da poco aperto sull’altro marciapiedi.
L’alzarsi del sole suscita il lento aggregarsi di questa folla di oziosi e sfaccendati e di un’altra folla nascosta, indaffarata, che all’ombra dei negozi e dei locali cercherà di soddisfarne i desideri.
Per il flaneur il centro storico di Palermo oggi è un bel posto: tanti caffè e perditempo lungo la strada e fino al mare, tanta struggente bellezza nascosta da scoprire, e tutto il mondo che l’attraversa, tutti i continenti.
Non mancano i teatri e le librerie anche se sono scomparse le edicole, mentre dentro i palazzi storici si susseguono le mostre, tre, quattro inaugurazioni in una serata; e poco importa se quelli ‘ contro’ sostengono che l’arte e la cultura andrebbero cercati e costruiti altrove. Ha ragione il mercato, pare, anche quando sembra avere torto.

Una Palermo, questa che lascia Orlando, impensabile dieci anni fa, che ha modulato anche un suono diverso.


In questo video ho chiesto a un pianista, Nicola Spanu, di commentare un montaggio di sequenze mute, frammenti e scorci di questa Palermo del dopo Orlando, di inventarne con le note una sonorità diversa e plausibile.
Senza conoscerli è come se avesse riconosciuto i luoghi e le ore, fino alle increspature dell’onda sonora che la folla emana come un respiro.

Di Bac Bac