di Adriana Iacono

Coi finestrini abbassati il fetore, intenso e acre, colpisce forte come un ceffone ben assestato e arriva prima di tutto. Qualche chilometro dopo arrivano anche le cime dei silos di acciaio, imponenti e rapaci. È Partinico, bellezza. Partinico e la sua fabbrica, anzi la fabbrica della signora. “Lei è un tipo.” Dice il mio amico Alfredo, mentre a cena raccontiamo del nostro infelice passaggio in auto lungo la statale. “L’ho conosciuta negli anni settanta. Certo le donne quando ci si mettono…” E la discussione slitta velocemente dalle donne di Kabul alla signora di Partinico. “Quando siamo arrivati mi ha consegnato le chiavi e mi ha detto tutta sorridente: ecco qua, da questo momento in poi lei è il responsabile di tutto quello che succede. Io sudavo freddo, c’erano macchinari costosissimi e gli operai non avevano niente da perdere. Era tutta gente disperata che si era rivolta a noi per migliorare le condizioni di lavoro. Anche se ero giovane e inesperto rappresentavo il sindacato, non potevo dire di no. Così abbiamo occupato la fabbrica, ma è stato inutile. Sono il testimone di un fallimento.” In tema di fallimenti contro la signora il mio amico è in buona compagnia. Da decenni chiunque si sia scontrato contro quei silos muliniavento , è finito per diventare un Don Chisciotte appiedato, senza lancia e senza scudiere. “Un giorno ho incontrato un deputato nazionale a Palermo. Gli ho parlato della situazione per chiedere se si poteva fare qualcosa,” continua Alfredo, “ma all’epoca il cognato della signora era passato da ministro ai lavori pubblici dei corleonesi a collaboratore di giustizia e così il deputato mi ha fatto capire che era meglio mantenere le acque tranquille. Non era un buon momento, mi disse.” Ma buoni momenti non ce ne sono mai stati, visto che la fabbrica nel frattempo è diventata la più grande distilleria d’Europa. “Lei è sempre molto centile.” Aggiunge Renate, col suo adorabile accento tedesco. “Una volta c’è stata una riunione con i rappresentanti della città. Tutti professori e professionisti con le ville al mare. A chi faceva notare che i suoi scarichi inquinavano lei rispondeva: e le vostre case abusive dove scaricano? Così nessuno ha potuto dire niente.” Conclude. Eppure negli anni ottanta le foto del fiume colorato di rosso hanno fatto scalpore, ma queste sono storie di un fallimento dietro l’altro contro un avversario invincibile. “Intanto ha comprato tutte le distillerie della zona. È rimasta l’unica e tutti devono andare da lei. Ha anche un’altra fabbrica al nord.” Continua Renate, col suo tono garbato. Non c’è risentimento nelle parole dei miei amici, piuttosto l’accettazione di chi è venuto a patti con un problema con il quale ci si è scontrati per decenni, rabbia e voglia di reagire si sono diluiti nel tempo. Poi mi mostra il sito della fabbrica al nord dove spicca a chiare lettere la frase SOSTENIBILITA’ CIRCOLARE. Ridiamo di gusto a quella che sembra una battuta di spirito, è proprio il caso di dire. “Lì rispetta le regole, mentre qui fa quello vuole. Adesso però si dovrà spostare da un’altra parte, la zona non è più periferia. Per fortuna da noi la puzza non arriva. Spesso lavorano di notte ma dipende anche da come gira il vento.” Oggi, però, il vento sembra girare dalla parte giusta. Una notizia recente dice che la signora dovrà risarcire il comune di Partinico con 1,2 milioni per inquinamento ambientale. Una decisione che arriva dopo vent’anni dalla condanna penale del 1999. La fabbrica sarà trasferita in un’altra contrada mentre l’area della sede attuale sarà convertita da industriale a residenziale. Della distilleria rimarrà solo la canna fumaria mulinoavento a solleticare la curiosità del prossimo Don Chisciotte a cavallo armato di lancia, scudiero e tanta, tantissima pazienza.​

Di Bac Bac