di Nuccio Dispenza

“Il profumo di vaniglia, quella è la prima cosa che torna in mente. Si sentiva a distanza e si diffondeva nei marciapiedi attorno”. La vaniglia è l’incipit, lo svolgimento, il tema dominante ed anche la chiusura del racconto. Racconto a tante mani, sull’onda del ricordo e della nostalgia. Tra le buone cose dei social c’è l’essere diventati una sorta di bacheca di buone cose perdute. Piccole cose di un tempo ( a volte tornano, ora ) incompatibili con certe svolte nel costume, nell’economia, nei cosiddetti “modelli di sviluppo”. Cose, luoghi, persone che rimandano a profumi, giorni particolari o tutti uguali, desideri, felicità.                                                                                                                                                       

Basta una rara foto sulla pagina di Come eravamo e uno dietro l’altro i commenti tessono la tela strappata, ricompongono un bouquet scomposto dal vento impietoso. Un paio di foto – la prima seppiata, la seconda in bianco e nero, degli interni – rinviano  alla Pasticceria Sacchiero di Palermo. Era ai Quattro Canti di Campagna. Un ritaglio di cartolina ripropone gli esterni. Probabilmente pubblicitaria quella foto scattata all’interno. La somma dei commenti è garbato racconto a più mani. “La ricordo, avevano delle caramelle buonissime in grandi barattoli di vetro posti sul bancone. L’odore era unico, si sentiva in strada…”. “E il profumo dei panzerotti?! Indimenticabile”. “Andavo sempre con la zia, lei prendeva un caffè con panna.. Ambiente stupendo, liberty…Tanti vasi di vetro ripieni di ogni leccornia. E l’odore dei dolci…Una meraviglia!”. Torna la vaniglia:”Il suo profumo riempiva tutta via Ruggero Settimo”. E il racconto continua, si compone, la foto riemerge e per un pò è possibile sentire pure i suoni, le voci, il saluto di chi entra, di chi esce, la voce dei bambini, sulla punta dei piedi, che indicano i loro desideri. “Ricordo che nel pomeriggio veniva gettata una manciata di zucchero a velo alla vaniglia dentro al forno, con lo sportello aperto, in modo che il profumo si diffondesse nel locale e in strada. Non si resisteva, si doveva entrare…”. L’informazione: “Negli anni Settanta esisteva ancora!”. Negli stessi anni venne la chiusura. Ora è uno dei cento negozi di scarpe e abbigliamento per lo sport e il tempo libero. Si torna ai ricordi, vaniglia e ancora vaniglia. E cannella, e la “brioscina con la panna”. Quella di un tempo, la panna, compatta, non gonfiata dall’aria. “Mio papà lavorava al giornale L’ORA, la pasticceria Sacchiero era la mia preferita, era la tappa d’obbligo. E i babà, meravigliosi!” . “Chiudo gli occhi e sento l’odore di vaniglia”. “E il gattone della Pasticceria Sacchiero, ve lo ricordate!?”. Se ne stava all’interno, guardava fuori, era un amico, un’istituzione. Tra i dolci, c’è chi ricorda le “spagnolette”. Il ricordo è così forte che va corredato da un paio di cuoricini rossi. “Me li comprava sempre una zia che mi coccolava e sapeva quanto ne ero ghiotta”.  La vaniglia, la cannella, la zia. Le zie, riferimento forse andato per sempre. Erano complici e modello. Dalla zia che ti coccola al gatto per arrivare alle protagoniste assolute della pasticceria, le sorelle Sacchiero. Tanti le ricordano: “Ho sentito al telefono Bianca Sacchiero – scrive Filippa Trigona – e a quasi 92 anni ha la voce di una ragazza. Dolcissima Bianca!”. L’altra sorella, Lucia. “La sig.ra Lucia ci viziava”, scrive Matteo. E torna questa straordinaria e “ruffiana” abitudine di bruciare nel forno cannella e vaniglia, per inebriare donne, uomini e bambini che passavano all’angolo di via Ruggero Settimo e via Stabile. Catturarli era un gioco. Essere catturati, pure quello era un gioco. “Con mia nonna ci passavamo ogni giorno alle 11…”, è il dettaglio di Donatella. Le leccornie non sono finite, tra i ricordi emergono le violette candite. “E facevano il sanguinaccio dolce!”, irrompe Luciano. “E le nanette!”, è la replica. Colpo su colpo, ilo gioco ora è a chi più pesca nella memoria. Poi c’è Rosalba che abitava proprio sopra la pasticceria. Tanto presente quella pasticceria da portarla ad un rifiuto dei dolci. Ora i dolci si sono vendicati, lei li ama ma quella pasticceria sotto casa non c’è più.                                                                                                                                 

Si aggiunge Enzo, che rimpiange i “pupatelli” di Sacchiero. “Una delle due signorine Sacchiero era bionda!”, ricorda Sergio, che lavorava a piazza Verdi e in quella pasticceria faceva colazione. “Vogliamo parlare dell’insegna?!”. Si vede nella foto seppiata:”Elegante!”, nota Daniela. L’elenco continua con le caramelle alla gelatina di frutta, mentre Patrizia ricorda la vetrina: aveva un pupazzo vestito da pasticciere, e  muoveva le braccia. Sfogliatelle, africani e panzerotti con la ricotta. “Vi siete scordati dei marron glacé, dice Rossella. “Fenomenali!”, aggiunge Giovannella.                                                                                   

“Quant’era bella Palermo!”, sospira Daniela.

Di Bac Bac