Ieri pomeriggio il circolo del Partito Democratico di Agrigento ha organizzato una visita guidata al quartiere di Terravecchia nel centro storico della città. Cicerone per l’occasione Marco Falzone, decano delle guide agrigentine e appassionato cultore delle vicende storiche della cIttà. È stato un modo per creare spirito di comunità, per discutere delle potenzialità turistiche di questo pezzo di città trascurato e per conoscere meglio angoli poco noti. Siamo partiti da piazza San Giuseppe per arrivare al Castello (di cui resta oramai molto poco e la cui esistenza storica è ignota a molti), passando per le viuzze che portano a Santa Maria dei Greci. Abbiamo proseguito il tour ad ovest verso il museo diocesano e la cattedrale, per ridiscendere verso palazzo Gioieni e arrivare, infine, al Rabato e in piazza Santa Croce. Ad ogni stradina, cortile, palazzo, ad ogni angolo, Marco, che è una vera e propria enciclopedia vivente del centro storico, si soffermava per illustrare l’origine della toponomastica e la microstoria delle famiglie agrigentine ad essa legata, con dovizia di particolari e di riferimenti bibliografici. È straordinaria la passione per la storia e l’amore per la città che Marco mette nelle sue conversazioni, accompagnandole con una preparazione minuziosa e uno spessore intellettuale elevato. 

(Piazza San Giuseppe e il circolo Empedocleo)

È stata una passeggiata all’agrodolce. Il dolce sta nei magnifici palazzi disseminati in diversi punti di Terravecchia; nel reticolo viario irregolare unico e affascinante: viuzze, cortili, scalinate, slarghi, strettoie, piazzette; nelle piccole case che testimoniano un modo di vivere altro, diverso nelle modalità e nei tempi e ricco di un senso solidaristico e comunitario che abbiamo perso. L’agro è nell’ obbrobrio della superfetazioni, nei recipienti di eternit o di orribile plastica azzurra che affollano i tetti, nelle case abbandonate, nei palazzi in rovina, nei Tolli che spuntano qua e là, nelle strade sporche, nelle auto parcheggiate che disturbano la vista dei monumenti, negli interventi di demolizione senza criterio che creano pericoli per gli abitanti (sempre più rari).

Deprimente, poi, la constatazione della mancanza della mano pubblica nel guidare un’evoluzione urbanistica ordinata del centro storico. Non un solo progetto è stato realizzato negli ultimi cinquant’anni. La storia del dibattito pubblico sulla necessità di recuperare il cuore della vecchia Girgenti è piena di occasioni mancate: dai 25 miliardi di lire di finanziamenti regionali degli anni ’80, ai dodici milioni di euro di investimenti  recentemente persi per il progetto di Ravanusella, al blocco senza esito del progetto di rigenerazione urbana di Terravecchia. 

(Il serbatoio dell’Itria con i resti del Castello di Girgenti)

Un altro progetto, ora, rischia di fare la stessa fine. Grazie all’operato attento di alcuni tecnici comunali, lo scorso anno un piano di recupero di tre isolati del quartiere di Santa Croce è stato ammesso al finanziamento per un importo di due milioni di euro. Si tratta della realizzazione di 20 unità abitative da concedere a canone calmierato a chi non possiede altri immobili. Il progetto, comunque, è importante aldilà delle poche persone che potranno usufruire di un alloggio, perché il recupero di questa piccola porzione del Rabato innescherebbe un effetto domino sul risanamento delle abitazioni vicine. I tecnici comunali hanno curato il progetto di massima che è stato approvato dalle autorità regionali, assegnando il relativo finanziamento. Ora bisognerebbe passare alla redazione del progetto esecutivo e poi all’assegnazione dei lavori. Ad oggi, però, dopo diversi mesi dall’approvazione regionale, il comune non ha ancora provveduto all’assegnazione dell’incarico esecutivo, con il rischio che si accumulino ritardi che possono portare, come già visto tante volte in passato, alla revoca del finanziamento. 

Il sindaco e la giunta sono stati lesti ad attribuirsi il merito dell’iniziativa di recupero, a cui non hanno mai lavorato ne inviato input di qualunque genere agli uffici comunali, quanto lenti (direi meglio fermi) nell’ accompagnare le successive fasi del progetto.

(Le macerie a pochi passi dalla chiesa di Santa Croce)

Forse il recupero della zona di Santa Croce non è proprio tra le priorità dei nostri amministratori. Si tratta di un quartiere povero di strutture urbanistiche, povero nella tipologia delle case realizzate, con un basso reddito dei residenti che ancora si ostinano ad abitarle, di cui una larga parte sono persone immigrate. Una situazione simile a quella del quartiere Ravanusella. Si tratta di cittadini che non hanno una grande capacità di pressione sulle istituzioni e, quindi, meritevoli una considerazione attenuata, secondo le logiche clientelari correnti. Così, se nel caso della frana che ha colpito la zona centrale del viale della Vittoria circa 10 anni fa, l’amministrazione si mobilitò risolvendo il problema della messa in sicurezza in pochi mesi, nel caso di Santa Croce l’attenzione sembra essere molto diversa.

(L’abbandono e il degrado in via Zuppardo)

Per capire la differenza, basti pensare che nel mese di giugno scorso il comune ha abbattuto una casa abbandonata a ridosso della chiesa di Santa Croce, da cui distava appena una decina di metri, creando un cumulo di rovine, senza preoccuparsi di mettere in sicurezza l’area (roba da lasciare basiti)

La zona delle rovine si è ben presto trasformata in una mini-discarica a cielo aperto, con conci di tufo affioranti e in precario equilibrio, che rappresentano un pericolo per i bambini che giocano nelle vicinanze. 

Ecco, sarebbe salutare che il sindaco e l’intera amministrazione, oltre a sbrigare celermente le carte che riguardano il progetto di Santa Croce e a mettere in sicurezza la zona, facessero anche loro una passeggiata nel centro storico, per rendersi conto dei pericoli affioranti, del degrado e delle potenzialità del luogo. Sono sicuro che, per l’occasione, Marco li accompagnerebbe volentieri, rinunciando anche al suo compenso professionale.