di Giandomenico Vicacqua

foto T. Siracusa

La densità plebea, ruvida e carnale della festa di san Calogero ha sempre rappresentato un oltraggio intollerabile per i benpensanti, che un tempo, al primo rullare dei tamburi, abbandonavano le loro abitazioni in città e riparavano nelle case di campagna. 

Non meno risentite, le autorità ecclesiastiche mai hanno celato la loro insofferenza verso le nuances paganeggianti del culto. È una lunga lista quella degli interventi ortopedici sul rito tentati dalla curia. Per rimanere al contemporaneo, alcuni anni orsono fu disposto che lungo il percorso della processione venissero diffuse, da striduli altoparlanti, musiche soavi, celestiali, in drammatica dissonanza con le battenti e sensuali sonorità della banda. 

Un altro tentativo di addomesticare le forme più scabrose del culto, quelle antropologicamente più autentiche, in nome di una legalità liturgica rispetto alla quale la festa sembra porsi in termini di scoperta eversione, è stato tentato con i ripetuti interdetti sul lancio dei pani, oggetto di una vera e propria campagna di discredito. Questo aspetto del rito è stato infatti rappresentato come una prassi puramente dissipativa, un vacuo sperpero di risorse che potrebbero essere più utilmente impiegate per contrastare la fame nel mondo. In tempi di grande miseria, si ammonisce, non è cristiano gettare il pane, quando lo si potrebbe donare ai fratelli bisognosi. Si tratta di un ragionamento inconsistente, privo di fondamenta storiche ed etiche, ma insidioso, poiché fa leva sui sentimenti solidaristici del popolo di san Calogero, ossia su quei processi psicologici di identificazione con l’altro che rendono possibile la con-fusione degli individui e che sono alla base di qualunque esperienza rituale collettiva. Con un argomento gramo e moralistico, destituito di oggettività, i titolati nemici della festa hanno, dunque, provato ad inficiare un dispositivo simbolico millenario, accreditando l’avvilente surroga dei pani (che sublimano le pietre, poiché il rito tradisce la memoria di una antica lapidazione) con dei coriandoli policromi, degli insulsi bigliettini, vettori di messaggi edificanti, che lanciati dai balconi al passaggio del fercolo, volteggiano inopportuni sulla testa dei devoti, prima di aggiungersi alle cartacce dei consumi alimentari.

Oggi è la volta dei divieti amministrativi e di polizia, dispiegati, in piena aderenza alla volontà delle norme, dalle autorità preposte alla pubblica sicurezza. Come in origine, s’intravede la soddisfazione del sinedrio.

Di Bac Bac