di Vito Bianco

Borghese, borghesia Piccolo dizionario borghese (con Leo Longanesi): “Amore: ‘Io, in amore…’. Antichi: ‘Ma se non facevano il bagno!’. Arte: ‘Deve rispecchiare la propria epoca’. Brillanti: ‘Gli ebrei li hanno comprati tutti’. Bruna: ‘È più sensuale’. Campagna: ‘Riposa l’occhio’. Chianti: ‘Bisogna berlo sul posto’. Conversazione: ‘Parli, parli avvocato, siamo tra amici’. Corriere: ‘Rimane sempre un bel giornale’. Corteggiatore: ‘Ha la macchina, sai!’. Coscienza: ‘E ti giuro che non me ne pento’. Denaro: ‘Non conta più, ormai!’. Dio: ‘Ci credo a modo mio’. Donna: ‘La donna deve essere anche una femmina’. Ebrei: ‘Hanno qualcosa di diverso da noi’. Enciclopedia: ‘Si può mettere anche in salotto’. Gesuita: ‘Fatti raccomandare da un gesuita’. Gentiluomo: ‘Il vero si riconosce in casa’”.
Ne Il borghese e l’immensità il borghese è “quella figura che può avere tutti gli sfondi tranne l’immensità”. Il borghese sa che nel mondo esiste qualcosa “di cui egli non deve tenere conto: l’immensità, l’infinito”. Ma il povero borghese preso impietosamente di mira da Brancati è anche, “con le spalle rivolte al cielo, alle acque”, avarizia. Col suo silenzio dice: “Perché tutto questo cielo sprecato?”
Nel Diario romano scrive: “Non basta odiare la borghesia per finire di essere borghesi. (…) Non basta nemmeno essere cattivi borghesi per finire di essere borghesi. I peggiori borghesi sono:
i decadenti
i nobili
gli ermetici
i mistici
i pederasti
i comandanti
gli animatori
i dirigenti (quelli che sanno fare solo questo: dirigere)
i tecnici dei colpi di Stato
gl’intolleranti”.
Non basta nemmeno a Brancati, che in fondo mai smetterà di esserlo. Come il suo amico Moravia, che per primo ne aveva cominciato la demolizione (chi meglio di un borghese può farlo?) Del resto, lo sappiamo, borghesi sono sempre gli altri: “Borghesia: ‘Io non sono  borghese'” (Piccolo dizionario).

Donna  Dal protagonista di Don Giovanni in Sicilia a quello del romanzo “stendaliano” (il rimando è a Armance) per finire con Paolo il caldo, la donna è la croce e la delizia dei personaggi di Brancati, che la bramano la inseguono la sposano e la mancano forse per eccesso di desiderio o di sublimazione.
La giovane donna di Singolare avventura di viaggio è timida e vergine ma confessa al cugino Enrico Leoni, di avere un amante inesistente. Enrico, che delle donne ha una pessima opinione, la seduce. Assalito da una “sensualità” contro cui lotta invano per due giorni, finisce col trasgredire il tabù che vieta l’accoppiamento con una una cugina di primo grado. Ma forse non è solo sesso. Su questo e sulla svolta esistenziale del protagonista Brancati lascia il lettore privo di certezze. Il racconto lungo o romanzo breve è del ’34, l’anno della crisi politica di Brancati, fino a quel momento convinto fascista.
In Enrico lo scrittore siciliano proietta i propri dubbi politici, la crisi esistenziale che lo porterà all’abiura, al distacco definitivo dalla visione politica ed estetica della giovinezza. Con questo lungo racconto erotico politico si apre la seconda fase della singolare carriera di scrittore di Brancati, nella quale il moralista severo e talvolta risentito e il satirico mordace felicemente abiteranno la stessa inquieta mente. Le donne di Sogno di un valzer sono invece raffinate e con pretese intellettuali (sono avide lettrici di Pirandello) o di umile estrazione: quelle di via delle Calcare che si prostituiscono per miseria.

Desiderio (realtà)   “Sono a Zafferana Etnea e desidero fortemente di essere a Zafferana Etnea”, scrive nel Diario romano. “Ma se già mi trovo in questo piccolo paese? Ebbene, desidero lo stesso di trovarmi in questo piccolo paese. Non che la ‘realtà’ mi lasci deluso: al contrario, mi dà un diletto così forte da spingermi al desiderio acuto di lei.
Così può accadere di sposare una donna, e desiderare per tutto la vita di poterla sposare.
La ‘realtà’  è in grado di appagare o scontentare solo gli sciocchi”.
La stupidità comporterebbe quindi per Brancati un difetto di immaginazione che è prima di tutto un difetto di desiderio. Quel che c’è, quel che si ha, è per gli sciocchi, insomma. I quali non riescono a vedere al di là del proprio naso.

Fascismo (distruzione dei dogmi)  Memoria dolorosa del ventennio ed esame di coscienza per vaccinarsi contro le formule “che promettono ‘nuove forme di vita’ e ‘nuova materia’ di poesia. La formula è una droga gratissima ai cervelli stanchi. Io lo so perché ne ho sperimentato le effimere gioie e i potenti veleni sui vent’anni (…)”. Diario.
Brancati si iscrive al Partito Nazionale Fascista nel 1924, l’anno del delitto Matteotti. In Istinto e intuizione (I fascisti invecchiano) scrive: “Sui vent’anni, io ero fascista sino alla radice dei capelli. Non trovo alcuna attenuante per questo: mi attirava, del fascismo, quanto esso aveva di peggio”. Allargando lo sguardo annota con la lucidità di chi ha conosciuto la malattia: “Un paese  che ha il fascismo al potere è un paese che si avvia alla catastrofe nel modo più buffonesco… La guerra tra il dogma cattolico  e quello protestante terminò con l’indebolimento di tutti e due e la vittoria dei principi di tolleranza”. Diario.
Ancora nel Diario: A: “Quindici anni fa un ragazzo sconsigliato, uno sciocco portava il mio nome”. Dal dialoghetto di commedia che Brancati dice di aver scritto durante la noia del ’36 e ’37, dopo la vergogna che “succede a queste ubriacature”.
Ma ecco una cruda e disperante istantanea del fascismo già metabolizzato e ridotto a piacevole avventura di cui avere nostalgia. Dice un ex console: “Io sono sfinito dalla nostalgia di quei tempi. (…) Ora io potrei discutere con lei sugli errori del fascismo o sulle colpe dell’antifascismo. Ma questo si fa quando non si vogliono chiamare le cose con il loro nome; perché, a volerle  chiamare col loro nome, io devo dire soltanto  che quella per me era la felicità e questa l’infelicità”. Per Brancati però il piacere “di non essere conformisti in un regime poliziesco è la sola cosa che gli uomini onesti rimpiangono dell’epoca fascista. (…) La poesia vietata è due volte poetica: per quello che esprime e per quello che si rifiuta di esprimere”. Diario.

Letteratura (uscire dalla torre d’avorio)   “La torre d’avorio. Ne esco continuamente per andare alla Costituente o per leggere gli articoli dei giornali”. Diario.

Patria  “Ho sentito il deputato Selvaggi, credo qualunquista, proclamare alla Costituente che ‘quando la patria chiama’, sia pure con la voce intollerabile del tiranno, bisogna ‘marciare’. Egli ha promesso ai suoi avversari di estrema sinistra che ‘marcerà’ anche agli ordini di un dittatore comunista, se la patria diventerà comunista”. Questo giovane, commenta ironico lo scrittore, che dalle tribune della stampa “si vedeva rilucere di brillantina, ha troppa disposizione alle marce forzate”.

Provincialismo   “Vasto come la cultura stessa”. Diario.

Morale, moralismo  Diario romano: “So di giudicare la politica da moralista, cioè secondo le regole che non sono le sue. È uno sbaglio del quale sono felice, perché le regole che applico alla politica sono quelle di un’attività che di gran lunga la sorpassa. Comprendere certe cose dall’interno è lo stesso che praticarle (p. es. comprendere il fascismo dall’interno significa praticare il fascismo). Non ci resta che comprendere dall’alto o, come dicono i teorici dei regimi totalitari, dal di fuori”.

Ozio (piacere di  vivere)  Diario romano: “Il tempo è talmente soave che si prova sempre il rimorso di non averlo perduto abbastanza: per quanto io stia seduto in Galleria senza far nulla, ho il sospetto che avrei potuto fare ancora di meno”.

Sicilia, siciliani   Diario romano: “Noi siciliani siamo soggetti ad ammalarci di noi stessi: un male che consiste nell’essere contemporaneamente il febbricitante e la febbre, la ‘cosa’ che soffre e quella che fa soffrire”.

Stupidità  Diario romano: “Le leggi della stupidità sono complesse, e il loro studio è pieno di attrattive”.

Di Bac Bac