di Renato Viviani

Paolo VI è un quartiere a settentrione della città di Taranto, è una città nella città, costruito a partire dal 1966, quasi tutto come edilizia popolare per i dipendenti dell’ex Italsider. Oggi conta oltre diciassettemila abitanti.

Separato dalla città da alcuni chilometri in una zona che avrebbe dovuto essere protetta dai pericolosi venti di nord ovest, col tempo da rione operaio si è trasformato nel variegato satellite che racchiude le contraddizioni e il desiderio di rivalsa della città.

La visita di Papa Paolo VI nel Natale del 1968, quando celebrò la Messa tra gli altiforni, ha dato il nome al quartiere.

Dal nucleo iniziale, con case a schiera di uno due piani, piccoli giardini e strade e stradine sorto attorno alla chiesa di Santa Maria del Galeso, la prima parrocchia, il quartiere si è sviluppato successivamente con altri sei lotti costruiti dall’ICLIS (istituto case per l’industria siderurgica) blocchi di enormi caseggiati da sette dieci piani, lontani tra loro, generalmente di colore chiaro dal grigio al bianco, separati da larghi viali a quattro corsie con spartitraffico e immense rotonde.

Tutti questi spazi vuoti aumentano il senso di lontananza, separazione, isolamento, degrado e non favoriscono la socializzazione e non a caso gli abitanti con caustica ironia hanno ribattezzato il nome del quartiere da Paolo VI in Paolo Sangeles.

Don Francesco, l’anima della parrocchia Corpus Domini nella zona detta Case Bianche mi parla del processo di lento risveglio a partire dalla fine della guerra tra clan degli anni ottanta novanta e del lavoro delle parrocchie e delle associazioni per aiutare a dare risposte e sostegni alle famiglie e ridurre l’abbandono scolastico. Nel settembre del 2020, grazie alla legge per il risanamento urbano ed il progetto TRUST, importanti autori come Tony Gallo, Alice Pasquini, Dimitri Taxis e altri, hanno dipinto sulle pareti di alcuni palazzi dei murales bellissimi.

Accanto ad un Apecar blu Salvatore, un signore di una sessantina d’anni, seduto su una panchina mi parla della difficoltà per le persone della sua età di lavorare, di mettere insieme pranzo e cena. Lui fa saltuari trasporti, sgomberi piccole riparazioni.

Il quartiere è molto esteso e in qualche chilometro si arriva al mare, sul seno interno del Mar Piccolo, dove ci sono gli allevamenti di cozze. La mitilicoltura è un aspetto importante dell’economia tarantina.

Incontro Aldo, il presidente di una cooperativa di mitilicoltura, mi spiega il ciclo produttivo della cozza, circa un anno, e dell’annata difficile: per ironia della sorte l’acqua è troppo limpida, è piovuto poco, non è l’ideale per la cozza che predilige acque un po’ più torbide. Aldo racconta qunto sia difficile sopravvivere quando ti pagano le cozze solo 0,50 centesimi al chilo.

Spostandoci di parecchi chilometri verso nord ovest dall’altro lato del quartiere, nell’interno, raggiungo una masseria bellissima, bianchissima, del ‘600. Qui Vincenzo, dopo aver dovuto abbattere nel 2008 oltre duemila pecore per la diossina – siamo a soli due chilometri dall’ex ILVA, le ciminiere sono di fronte a noi – assieme al CNR ha messo a coltura tre ettari a canapa per sviluppare il progetto sulla canapa come purificatore del terreno. La canapa funziona come una pompa che assorbe gli inquinanti dal terreno, diossina, metalli pesanti, stoccandoli nelle foglie e nel fusto, ma nel frattempo ha creato anche un bellissimo maneggio tra olivi secolari, gravine e chiesette rupestri.

Paolo VI è un quartiere dimenticato certo, ma colmo di umanità e abitato da persone bellissime.

Di Bac Bac