di  Daniele Moretto
 

Secondo la leggenda, una grossa colonna di marmo di Billiemi scivolò un giorno dal carro che la trasportava al cantiere di una chiesa palermitana, spezzandosi in più parti e rimanendo abbandonata là così a lungo da diventare un toponimo. Secondo la storia, in particolare il Mongitore, siamo intorno al 1610-20 e la colonna era destinata alla bellissima chiesa di San Giuseppe dei Teatini, ai Quattro Canti.
La via Colonna Rotta è una strada sinuosa che scende dal Palazzo Reale, si ferma e risale giungendo quasi al castello della Zisa. Nel tratto pianeggiante si apre ad uno slargo, corrispondente all’attuale via Imera, dove l’acqua è sempre stata presente, nel bene e nel male. Anticamente vi scorreva a cielo aperto il fiume Papireto, che era detto pomposamente “il gemello del Nilo” per via della presenza di papiri e coccodrilli, ma che fu interrato a causa delle ripetute nefaste esondazioni. Restano testimonianze di una darsena e di un bagno termale frequentato dalla famiglia reale.
Fino agli anni ’80 del secolo scorso la zona ospitava perlopiù famiglie del ceto medio: molti impiegati delle poste, maestri di musica, pittori di carretti, artigiani, e tanti esercizi commerciali lungo tutta la via. Poi cominciò l’esodo verso i quartieri nuovi, a ovest della città. Il rione divenne meno abbiente, coi ‘penultimi’ a tirare avanti con i loro bagagli e grovigli esistenziali, le loro croci e le loro pene, anche quelle da
scontare, il futuro incerto non meno del presente.
Ora è un pezzo di città negata. Molte saracinesche chiuse, la stazione “Imera” della metropolitana è un cantiere abbandonato da anni, dove c’era la darsena ad ogni acquazzone riappare un acquitrino, l’ammasso dei rifiuti ingombranti a galleggiare, un’atmosfera da “cose che non cambiano mai” che fa avvilire i residenti.
Alcuni, però, si sono svegliati.
Tra le attività che hanno resistito, ecco la pasticceria “Cappello”, famosa per la torta “setteveli”, un’antica latteria divenuta un’eccellenza del settore dolciario. Su impulso dei titolari, soprattutto della signora Giovanna, tra i suoi tavolini è nato un paio di mesi fa il Comitato Civico “Colonna Rotta”: imprenditori, professionisti, insegnanti e impiegati decisi a combattere il degrado della zona. Il primo vero banco di prova è arrivato con la bomba d’acqua che il 15 luglio scorso ha nuovamente messo in ginocchio la città, con l’ennesimo allagamento di vaste zone   e in particolare dei sottopassaggi della Circonvallazione, che per fortuna non ha fatto vittime, come invece era stato annunciato in un primo momento.
In via Colonna Rotta, la gente non credeva ai propri occhi quando ha visto esondare il Papireto: una trave di cemento, spezzandosi, ha fatto da tappo. Un’altra colonna rotta! E il rione ha vissuto tre giorni allucinanti. Tre giorni di liquami riversati ininterrottamente nell’avvallamento di via Imera, una darsena ripugnante. Coi tombini ostruiti dai rifiuti, l’acqua sudicia è salita a livelli inimmaginabili, alcune famiglie a pian terreno hanno perso tutto. Tre giorni di fetore insopportabile, rischi sanitari, finestre e finestroni chiusi, costernazione trasformatasi in rabbia perché nessuno si faceva vivo (anche perché i guasti in città erano tanti e i mezzi e il personale scarsi).
Solo quando gli abitanti, esasperati, hanno deciso di bloccare il traffico all’inizio della strada, sotto il Palazzo Reale, ecco i vigili urbani, i pompieri, la prima idrovora che si è guastata subito, ed ecco la seconda, ecco i tecnici dell’acquedotto a rimuovere l’ostruzione e quindi a incanalare nuovamente il fiume-fognatura; e qualche giorno dopo, hanno fatto capolino anche due o tre assessori e funzionari comunali.
L’esistenza del comitato ha indubbiamente contribuito a velocizzare gli interventi immediati. Finalmente una ruspa ha rimosso una montagna di rifiuti ingombranti dal “giardino” del cortile Criscione, che non è stato mai un vero giardino, ma lo sarà presto: il comitato sta per chiederlo in gestione. Iniziative simili sono in atto in altre zone della città; dopo lo strazio dell’alluvione, i comitati sono in fermento.
Questa è l’unica via di salvezza, per quanto possa sembrare assurdo: che i cittadini decisi a non tollerare oltremodo il degrado coinvolgano i più incerti a occuparsi in prima persona della loro parte di città e a sollecitare l’amministrazione.
Quest’ultima, in cambio, dovrebbe cedere un po’ il passo e concedere strumenti di cittadinanza vera, per esempio il regolamento dei beni comuni, approvato ma mai davvero attuato, e soprattutto il bilancio partecipato. Nonché sgravi sulle imposte della nettezza urbana. Nonché decidersi una buona volta a risolvere due problemi cruciali: l’assenteismo (non solo) nelle municipalizzate e la scarsità dei mezzi.
L’era orlandiana, così carica di promesse all’inizio e non priva di risultati, rischia di concludersi amaramente, se lascerà una città straziata dai problemi irrisolti, annegata nell’acqua, nel traffico, nell’inquinamento ambientale acustico elettromagnetico, nell’indecoro.
La colonna rotta abbandonata è allora un emblema dei guasti dell’incuria e
dell’abbandono che affliggono Palermo da tempo immemore. Ma è lì anche a richiamare l’opposto che sta in tutte le cose: il fervore, la rinuncia al degrado e alla passività, il sacrosanto e costituzionale diritto al benessere, la sete di bellezza che si sente nel deserto urbano.
I coccodrilli non ci sono più, ma tra gli interstizi dei marciapiedi continuano a spuntare piantine di papiro…
 
 

Di Bac Bac