in tanti punti della settimana 

di Daniele Moretto

·     Tentato oscuramento (I)

Pensiero, parola, scrittura, stampa. Queste quattro cose, tutte disarmate, teme, il potere. Le autocrazie di ogni tempo sono accomunate dall’insofferenza ai diritti liberali. A che cosa è dovuta questa insofferenza? Ragioniamo.

1.       A una sorta di pretesa affettiva paranoide: il riconoscimento totale. Bisogno di acclamazione. Flusso di consenso (bisogno identificativo della massa). Continuo e intenso. Che il dissenso interrompe. Traumatizzando il potere. Addirittura una ministra si è sentita censurata. (Vittimismo del potente). Per sicurezza, la premier cerca il plebiscito. Con una richiesta inedita: “Scrivete Giorgia sulla scheda elettorale”. Non più solo vox populi: è il momento del signum populi. L’acclamazione scritta. Parossismo che fa pensare, per converso, al vuoto. Tema inesauribile, già. Come la fame. Di fama. Cosa colmare. Una figura assente nei momenti decisivi? Lei stessa racconta di un padre lontano. Studiare l’infanzia dei nostri leader (che leader non sono, semmai capi) può servire?

2.  Al perfezionismo del politico. Il dissenso è insopportabile come graffio nel vetro. Mostra torsioni e distorsioni del potere. Ma come, io ho fatto e detto di tutto per arrivare dove sono, al top, e qualcuno pretende macchiare il mio grande arazzo con le sue critiche?

3.  Altro fastidio: l’opinione pubblica. Rumoreggia, storce il naso, gira e rigira la minestra nel grande paiolo. Bersaglio semovente, difficile per ogni mirino. Il che spiega gli spari sulla folla.

4. La stampa disturba. Letteralmente: scompiglia. Pretende verità. Quasi più pericolosa del potere giudiziario. Una bella legge-bavaglio, ecco cosa ci voleva! In attesa dell’ennesima riforma della magistratura (per limitarne i poteri). La quale magistratura ha ben le sue parti di terga a nudo.

5. La diversa narrazione (Salman Rushdie, ospite de “Il cavallo e la torre”, 10 maggio). Il potere dice: “Questo è il mondo, così dev’essere”. Lo scrittore, dice: “No, il mondo è diverso, non è come dici tu”.

“C’è qualcosa che non va” diceva un signore sul bus l’altro ieri, guardando dal finestrino le tante auto della polizia agli angoli delle strade. O quelle davanti al Teatro Massimo. La camionetta dell’esercito nell’area pedonale. Qualcosa non va. Troppi episodi. Di insofferenza. Troppi rigurgiti. Di militarismo, illiberalismo, razzismo, insomma di fascismo. Lo avevamo avvertito. Eccolo. Un po’ sfrontato, un po’ subdolo. Un nuovo attacco alla democrazia. Alla luce. Al pensiero. Che è sempre costituente. Tentato oscuramento. Della coscienza democratica.

Per questa libertà

Per questa libertà di canto sotto la pioggia

bisognerà dar tutto

Per questa libertà di essere strettamente legati

alle salde e dolci viscere del popolo

bisognerà dar tutto

Per questa libertà di girasole aperto nell’alba di fabbriche              

      accese e di scuole illuminate

e di terra che scricchiola e di bambino che si sveglia bisognerà dar tutto

Non c’è alternativa se non la libertà

Non c’è cammino che la libertà

Non c’è altra patria che la libertà

Non ci sarà poema senza la violenza musica della libertà

Per questa libertà che è il terrore

di quelli che sempre la violarono

in nome di fastose miserie

Per questa libertà che è la notte degli oppressori

e l’alba definitiva di tutto il popolo ormai invincibile

Per questa libertà che illumina le pupille infossate

     i piedi scalzi

     i tetti sforacchiati

     e gli occhi dei bambini che vagavano nella polvere

Per questa libertà che è l’impero della gioventù

Per questa libertà

bella come la vita

bisognerà dar tutto

se fosse necessario

perfino l’ombra

e non sarà mai abbastanza.

Fayad Jamís

(Zacatecas, Messico 1930 – L’Avana1988)

Traduzione di Marcelo Ravoni e Antonio Porta

da: Grido, non serenata – Poesie di lotta e di resistenza

scelte da Erri De Luca, Crocetti editore, 2024

1-14 maggio 2024

“Il punto” n. 20

rubrica di Daniele Moretto 

librazioni13@gmail.com

dipinto di René Rodriguez

Di Bac Bac