di Tano Siracusa

Poteva non succedere. Il silenzio, la rimozione potevano continuare, la memoria perduta del sacco edilizio e della frana; in vista poi del traguardo – luccicante come un miraggio – di Agrigento capitale della cultura.
Invece si torna a parlare della frana del ’66, del decreto Gui – Mancini e della relazione Martuscelli, di quando i palazzi di venti metri nel vuoto normativo del secondo dopoguerra raddoppiavano la loro altezza, cinturavano il centro storico, sconvolgevano il millenario assetto urbanistico della città. In un consenso generale, diffuso, pressoché unanime. Fino a quando nel vuoto vacillarono e vennero giù nell’estate del 1966.

E’ successo infatti che un pregevole studio del prof. Gaetano Gucciardo pubblicato da Rubettino nel 1999, “La legge e l’arbitrio“, sia tornato al centro dell’attenzione cittadina grazie a due operatori culturali e turistici di Agrigento, Roberto Bruccoleri e Marco Falzone, che hanno invitato il prof. Gucciardo a riproporre i risultati delle sue ricerche: prima durante una passeggiata dalla stazione a piazza Ravanusella e ieri sera nella stessa piazza su cui incombono minacciosi numerosi palazzoni edificati in quegli anni.

Gucciardo è un sociologo, uno studioso che non intende giudicare ma spiegare, e che riesce a farlo attraverso una indagine accurata dei meccanismi sociali, istituzionali, culturali, del caos normativo, degli interessi e delle aspirazioni che nel secondo dopoguerra hanno alimentato la cifra delle dismisure, il sogno ‘americano’ di una popolazione che usciva dai catoi del centro storico e dagli stenti della guerra. Il cemento verticale come affare e come simbolo.

Un pubblico di agrigentini che non ha vissuto quelle vicende ha avuto modo di conoscere, anche nei suoi risvolti meno noti, uno scenario tanto abnorme e lontano dal presente, quanto per molti aspetti ad esso speculare.

Lo ha ricordato in particolare, durante la discussione a piano Ravanusella, Nino Cuffaro, commentando la recente demolizione della Villa del Sole e una carenza di strumenti urbanistici che rende possibile il rilascio di nuove licenze edilizie ad incrementare il mercato dell’invenduto e il consumo di suolo in una città in crisi, che perde abitanti. Non è vero insomma secondo Cuffaro che ad Agrigento non si ‘decostruisca’: si decostruiscono le ville comunali, la Villa Garibaldi nel 1949, la Villa del Sole oggi.

Forse bisognerebbe cominciare a usare parole nuove, diffidando dell’usura di un lessico che per la sua stessa familiarità ha finito per naturalizzare e banalizzare un’incresciosa congiuntura storica. Parole, ad esempio, come ’tollo’, o suoi ammiccanti prolungamenti e derivazioni, al di là delle avventurose ipotesi etimologiche, rischiano ormai di nascondere più che mostrare l’oltraggio architettonico e urbanistico. Servirebbero parole nuove e una diversa idea di Agrigento.

C’è da augurarsi che l’interesse per il fondamentale contributo di Gaetano Gucciardo possa riavviare una riflessione su un futuro della città comunque immaginabile, anche soltanto per l’ usura delle cose che supera e disfa la più ostinata volontà delle generazioni: la collina occidentale liberata dalla barriera di cemento fuori quota edificata nel secondo dopoguerra. Dovrebbe essere questo il traguardo che gli abitanti di Agrigento dovrebbero consegnare oggi alle prossime generazioni. Un traguardo da immaginare e cominciare a delineare.

Nel video, a proposito di un passato che che stenta a passare, l’analisi di Nino Cuffaro sulla vicenda della Villa del Sole.

Di Bac Bac