di Vincenzo Campo

Verba generalia non sunt impiccicatoria, diceva un vecchio e autorevole professore di latino del liceo dei tempi di mia madre -e lei è del ’23; fatevi il conto.
Dunque, nessuno s’offenda.
E nessuno si risenta se si dice qualcosa che in qualche modo fa ombra a una luminosa quanto inesistente immagine di una città che dopodomani sarà capitale della cultura: è solo la massaia sciatta che nasconde i risultati del suo spazzamento sotto il tappeto; la casa deve essere e non solo apparire pulita, per sé stessi e per gli eventuali ospiti.
Allora, cos’è che voglio dire che potrebbe toccare qualche nervo scoperto, far offendere qualcuno, fare inalberare qualche campanilista/sciovinista; subito detto:
Generalmente, nel complesso, presi tutti insieme, diciamocelo!, siamo scarsamente dotati di senso civico, scarsamente attenti al pubblico; che non pensiamo che il pubblico è di tutti, e che pensiamo essere di nessuno; il decoro stesso riguarda solo il nostro privato, ciò che c’è entro il perimetro del “nostro”, di quanto è a noi. E di questo privato giustamente pretendiamo rispetto come del resto altrettanto giustamente diamo il nostro rispetto al privato altrui.
Il villano più villano che io conosco non si sognerebbe mai di far pipì nel mio giardino, né di sporcare volontariamente la mia automobile o… immaginate voi.
Un’aiola, una villetta, una strada, una scala, un lampione, un vaso di Caltagirone su un piliere del Viale non sono di tutti; sono di nessuno, e come tutte le res nullius possono essere liberamente rotte, usate con malgarbo, buttate in discarica, sporcate senza che nessuno possa aversene e risentirsi. Il nessuno è nessuno e come può il nessuno risentirsi se è nessuno? Possono persino esser fatte proprie, le cose di nessuno, e nel nostro sistema la proprietà è il diritto dei diritti.
Del perché di questo, delle ragioni che -credo- ne abbiamo, possiamo anche discuterne e ne discuteremo con chi vuole farlo; ma non ora, non in questa sede, perché altra è la mia intenzione e altro il senso del mio discorso.


Bene. Questa la premessa.
Da quando si fa la raccolta differenziata della spazzatura -ed era ora, dato che è segno di civiltà e dato che è da anni e anni che altrove si fa- la nostra città è particolarmente sporca, e la sporcizia evidente è quella della grande quantità di spazzatura lasciata dappertutto, ai margini delle strade, negli slarghi, ovunque ci sia uno spazio minimo dove lasciarla o forse anche lanciarla: provate a dare un’occhiata sotto i ponti e ai margini delle bretelle di collegamento…
Questo, a mio parere, è proprio il frutto della confusione che c’è nelle nostre teste del concetto di pubblico, della identificazione del “pubblico” e del “di nessuno”.
È dunque pacifico che molti di noi sporcano dove e quando non dovrebbero, che molti di noi non rispettano le regole della differenziazione della spazzatura né quelle del suo conferimento; e che questi molti purtroppo sono davvero molti, ché se fosse solo qualcuno non ce ne accorgeremmo neppure.
A causa di questi molti offriamo di noi, di tutti noi, l’immagine degli sporcaccioni e della nostra città l’immagine di qualcosa che sempre di più si avvicina ad una discarica; e noi stessi, tutti noi, chi sporca e chi no, viviamo in condizioni veramente antiigieniche e costringiamo chi viene a trovarci soggiorni nelle stesse medesime condizioni antiigieniche in cui noi viviamo.
Dunque hanno ragione i cori di quelli che urlano contro gli “zozzoni e gli incivili”?
Certo è che se nessuno sporcasse, la città sarebbe pulita. Veramente sarebbe più corretto dire “più pulita” e non semplicemente “pulita” perché comunque la città si sporcherebbe, anche senza l’azione volontaria e maleducata di chi butta la spazzatura, e sempre ci sarebbe la necessità di pulire.
Hanno ragione.
Però…
Però se è senz’altro vero che c’è un obbligo generale in capo a ciascuno di noi di non sporcare, è anche ugualmente vero che c’è un obbligo specifico si pulire e di tenere pulito a carico di chi amministra, dell’Amministrazione; e quest’ultimo obbligo è certamente una sorta di imperativo categorico, perché impone a chi ne è il destinatario di pulire e di tenere pulito indipendentemente dalle cause che hanno determinato e determinano la situazione di sporcizia.
E chi ha quest’obbligo non può invocare né attenuanti né esimenti: deve, deve, deve ottemperare senza che possa “scaricare” la responsabilità sugli “zozzoni” e sugli “incivili”.
Dovrà -e non solo “potrà”- cercare di individuare chi sporca e chi non rispetta le regole, dovrà -e non solo “potrà”- applicare le dovute sanzioni perché anche di questa inerzia potrebbe e dovrebbe essere chiamato a rispondere, ma non potrà in nessun modo esimersi dal pulire e tenere pulita la città.
Quindi, perfettamente consapevoli del fatto che le regole non vengono rispettate e che anzi vengono palesemente violate da tanti, prendiamo le distanze da costoro, ma non offriamo alibi a nessuno

Di Bac Bac