di Tano Siracusa

Questa foto è stata scattata alla fine degli anni ’80. Siamo davanti la stazione centrale di Agrigento, allora un enorme parcheggio. Due ragazzi si abbracciano, forse ad occhi chiusi, immaginando un paesaggio più romantico.
In quei mesi uscivo per strada e vedevo solo automobili, ovunque: in cima alle scalinate del centro storico, in periferia, al Viale, posteggiate in doppia fila, a volte sui pochi mariciapiedi. E fra le automobili posteggiate succedeva di tutto, la gente si baciava, litigava, si portava una sedia e leggeva il giornale oppure sonnecchiava, come i gatti che preferivano farlo sotto le auto, dove si sentivano protetti.
Avevo esposto al Centro Pasolini una mostra di fotografie intitolata “Agrigento, automobili e viventi” e ne avevo parlato anni dopo con Emilio Arcuri, allora assessore al Comune di Palermo, per progettarne una simile nella sua città. Non se ne fece nulla. Solo molti anni dopo Leoluca Orlando, sfidando impopolarità, resistenze, ostracismi avrebbe avviato la progressiva chiusura al traffico del centro storico.
Già negli anni ’60 McLuhan sosteneva che le automobili fanno sparire gli scenari urbanistici e architettonici delle città. La progressiva rarefazione delle automobili nella capitale siciliana ha restituito la visibilità delle sontuose prospettive, la magnificenza della piazze prima nascoste dalle auto parcheggiate e adesso invase dai tavoli dei locali, che tracimano sui marciapiedi e sull’asfalto dove sfreccia qualche bici.

Si è innescato a Palermo, come in molte città italiane ed europee, un processo governato soprattutto dalla spontaneità del mercato, che ha portato nella città molto denaro ma anche degradato pezzi dei centri storici a suk di offerte stereotipate, cibo e alcol soprattutto, modellate sulla domada turistica. Palermo si è allineata alle grandi capitali europee, nel bene e nel male.


Ad Agrigento niente di simile negli ultimi trenta anni. Sono state sgomberate dalle auto due grandi piazze, quella della stazione e finalmente anche piazza Ravanusella; pochi anni fa anche i due slarghi di piazzetta Sinatra e del Circolo Empedocleo, utilizzati come parcheggi, sono stati trasformati in spazi urbanisticamente profilati e in seguito arricchiti – secondo alcuni peggiorati – da installazioni artistiche. Nient’altro.
Se oggi volessi riproporre con immagini il tema delle automobili ad Agrigento farei un video. Proverei a raccontare la giornata di un agrigentino che vive a Villa Seta, che deve raggiungere ogni giorno il cantiere dove lavora nella zona industriale, all’ospedale, a Villaggio Mosè e non possiede un’ automobile.

E poi la giornata di un turista che ha preso alloggio in uno dei grandi alberghi a Villaggio Mosè invece che in uno dei B&b in centro e vuole raggiungere la Cattedrale o il Monastero di Santo Spirito e la sera andare per locali a San Leone e rientrare a mezzanotte. Può farlo solo se noleggia un’automobile con la quale si avventurerà, perdendosi, nelle vie strette e tortuose della città medievale.


Di recente il sindaco di Agrigento, il dott. Miccichè, ha vantato la capacità di accoglienza della città. Si riferiva ai migranti e ai turisti, ma non ha precisato che gli uni e gli altri dovrebbero possedere un’auto per spostarsi nei tempi regolati del lavoro e dello svago.
Per gli abitanti della città il problema non esiste. Quasi tutti hanno un’auto o qualcuno che la mette a disposizione per spostarsi, per andare a lavorare o fare un giro. L’esatto rovescio di un modello sostenibile di mobilità. Chi abita in centro storico ritiene inconcepibile che oltre le scale possa esserci ulteriore impedimento per il transito veicolare, qualunque metro di suolo pubblico a ridosso dei pianiterra che possa avere una destinazione diversa dal parcheggio.
Dai primi anni ’90 si parla di scale mobili. L’amministrazione Firetto aveva ereditato dalle precedenti amministrazioni un piano della mobilità che le prevedeva, oltre ad ampie pedonalizzazioni. Era stato presentato in pompa magna dai progettisti, sembrava un utile strumento per rendere non necessario, antieconomico oltre che antiecologico il mezzo privato di trasporto. Sarebbe interessante sapere che fine abbia fatto.
Se non si riesce neppure a immaginare un’alternativa desiderabile, si vive meglio. Sembra un po’ questo il senso comune della città.


Agrigento si è dilatata, dalla periferia di Porto Empedocle a quella di Aragona, collegate da un binario che potrebbe attivare un regolare servizio quotidiano di trasporto. Il binario attraversa la valle, passa sotto il grande anfiteatro di Parco Icori, raggiunge la Stagione Bassa. Viene attivata un paio di volte l’anno come una lussuosa stravaganza, ma se ne è discusso a lungo, c’erano studi, progetti, finanziamenti. Non se ne è fatto niente e nessuno ne parla più.
Neppure adesso che come capitale della cultura Agrigento si appresta a ricevere un crescente flusso turistico.
Qualcuno dei tanti che si affollano per gestire l’evento del ’25 dovrebbe spiegare al sindaco che una buona accoglienza non prevede solo la costruzione di marciapiedi, il rifacimento del manto stradale, la scomparsa dei rifiuti, interventi che si cominciano a effettuare, ma anche un servizio pubblico di trasporto articolato ed efficiente.
Gli agrigentini usano le auto per spostarsi. Forse ai turisti la città dell’accoglienza dovrebbe almeno raccomandare che se le procurino.

Di Bac Bac