di Vito Bianco

A nessuno piace morire (“vivere è la sola cosa interessante” diceva Mitterand) ma forse non è mai esistito né mai esisterà un uomo più contrario alla morte di Silvio Berlusconi. Se avesse potuto l’avrebbe abolita, come sognava di poter annunciare Elias Canetti: “Disperazione degli eroi per l’abolizione della morte”. Contro questa eventualità, contro questo “disturbo” ha lottato a lungo, soprattutto negli ultimi anni, quando il disturbo si era fatto più insistente e con esso la sua irritazione di uomo fatto per “disfrutar de la vida a tope”.
Per esorcizzarlo, allontanarlo, tenerlo a distanza di sicurezza si era esercitato sul proprio corpo, sul proprio volto, facendone la materia viva eppure manipolabile di una body art la cui la drammatica posta in gioco era il prolungamento artificiale (artistico) dell’esistenza, dello slancio vitale, nella faustiana speranza di poter governare la natura così come governava il partito che aveva inventato per salvare dalla legge l’impero mediatico.

Contro il tempo, contro lo scorrere incontrollabile e dispotico del tempo naturale Berlusconi aveva messo in campo ogni possibile strategia, con patetica e persino ammirevole ostinazione; dalla calza sulla telecamera alle fidanzate sempre più giovani di mezzo secolo alle fotografie giovanili o ritoccate nelle quali sempre più somigliava al ritratto un leader cinese manipolato da Warhol o da un suo ritardato epigono. Amare il proprio doppio iconografico, la patinata proiezione della carne peritura per essere ancora e per sempre amato in imago, nell’immagine che sola è capace di farsi beffe della morte, questo inevitabile incidente che intralcia i nostri segreti piani di eternità.
Amarla e sperare che la beffa o l’esorcismo o la forza apotropaica di quell’innaturale sorriso fotografico ne rallenti l’avanzata. Amarla e specchiarsi in essa nell’illusione che il volto finto possa assorbire e rianimare il volto reale, realizzando il miracolo di farlo tornare giovane.

“Il re è morto, viva il re”, si scandiva ai funerali del sovrano al tempo delle monarchie assolute, a significare che, se il sovrano può morire, la sovranità non muore mai.
Con Silvio Berlusconi invece muore anche la sua sovranità di monarca populista e passa all’archivio della futura storiografia uno sterminato repertorio di gesti, parole, immagini, simboli, conflitti politici, propaganda, agoni giudiziari, scandali sessuali, spettacolo televisivo… su cui continuerà a dominare la sorridente gigantografia – questa sì inalterabile e immortale – di un uomo ferocemente attaccato alla vita.

Di Bac Bac