(Banksy – No ball games)

Il titolo del bel film di Massimo Troisi esprime bene la delusione per qualcosa le cui aspettative, che erano molto alte, non sono state mantenute nella realtà. Appunto, come trovare un semplice calesse, un mero oggetto materiale, quando si aspirava a soddisfare un profondo bisogno spirituale, individuato dal nostro artista nella massima espressione sentimentale.

Anch’io, coltivando pensieri lunghi e passioni profonde, nel sottoscrivere la tessera del Partito Democratico e partecipando al congresso costituente in corso, ho l’impressione di aver trovato situazioni prosaiche laddove cercavo un po’ di poesia.

Non ero impegnato attivamente in politica da circa trent’anni. L’ultima tessera di partito era stata quella del Movimento per la democrazia La Rete di Leoluca Orlando. Erano i primi anni ‘90, il periodo delle stragi di mafia, di tangentopoli, della rivolta civile dei siciliani: quel risveglio delle coscienze che il sindaco di Palermo con coraggio e determinazione ben rappresentava. In questi giorni, invece, lo scossone che mi ha spinto ad un impegno diretto è venuto dallo sgretolarsi progressivo della capacità di rappresentanza della sinistra e dall’affermazione strabordante di una destra pericolosa, che si muove verso una deriva autoritaria, corporativa, razzista, anti europeista, ed esibisce con tracotanza simboli, riti e parole d’ordine del ventennio fascista. L’adesione al Partito Democratico è stata poi facilitata dalla stima e dall’affetto verso persone che per me sono un esempio di rigore morale, di competenza, di passione politica e freschezza di pensiero, come Valentina Chinnici, Ottavio Navarra, Massimo Ingiaimo e tanti altri compagni dell’associazione Per il pane e le rose.

L’esordio è stato molto incoraggiante. Ho rivissuto situazioni ed emozioni da tempo accantonate: ritrovare nella sede di via Bentivegna a Palermo una piccola e orgogliosa comunità in cui rispecchiarsi; partecipare ad una assemblea molto animata per discutere di valori, identità e progetti del partito che vorremmo; approfondire i temi della mozione congressuale; definire gli incontri nei vari territori, provando a coinvolgere i tanti compagni che si sono allontanati; avviare la raccolta delle adesioni. Poi è arrivato Gianni Cuperlo ad aprire la campagna congressuale proprio a Palermo, nella sede dell’Istituto Gramsci siciliano.  In un congresso chiamato a ridefinire l’identità del partito, la scelta di partire dal sud e da un luogo così pieno di significati non è stata certamente casuale. Per un partito che si vuole più orientato verso la tutela del lavoro e dei lavoratori, decisamente schierato nella salvaguardia dello stato sociale (istruzione, sanità, previdenza, assistenza), più attento allo sviluppo del mezzogiorno (altro che autonomia differenziata) e fortemente impegnato nella lotta alla mafia, non poteva esserci luogo più emblematico dell’Istituto Gramsci di Palermo. E in quel luogo, dove si respira la storia del movimento operaio e contadino, Gianni Cuperlo, da grande maestro della parola, è riuscito a sviluppare una formidabile “connessione sentimentale” con il suo popolo, suscitando passioni ed entusiasmo degni dei migliori momenti della storia della sinistra. 

(Banksy)

Partendo da quella cima possente di passione politica, che induceva a credere non solo possibile, ma financo credibile e a portata di mano, un cambiamento profondo della pratica politica e della conduzione del partito, l’entusiasmo è andato scemando, man mano che i vari passaggi imposti dall’iter congressuale mettevano in evidenza l’abisso di insolenza, sfrontatezza, arroganza e cinismo dei vari vassalli valvassori e valvassini in servizio nelle varie realtà comunali a salvaguardia degli interessi dei vari capicorrente.

Così ho visto gli elenchi degli iscritti chiamati a votare crescere artificiosamente a dismisura, in contrasto con le riunioni dei circoli frequentati da pochissimi; gli incontri per discutere le diverse tesi (quei pochi che sono stati formalmente convocati) trascinarsi spesso  stancamente con la lettura di interventi preconfezionati e in assenza di un confronto vero che partisse dalle realtà locali; circoli di minuscole città con più iscritti dei centri capoluogo; risultati elettorali con tutti i voti, o la stragrande maggioranza di essi, attribuiti ad una mozione, casualmente quella del feudatario locale; garanti del voto che garantivano solo il loro dante causa; accordi tra rappresentanti di alcune mozioni per suddividere consensualmente i voti degli iscritti assenti; votanti che votano 3/4/5 schede; sostenitori delle liste di centrodestra alle ultime amministrative votare per il congresso del partito; capibastone che precettano e accompagnano al voto familiari, parenti e amici che non hanno alcuna idea di chi siano i candidati e tantomeno dei contenuti del congresso. 

Insomma, un campionario di scempiaggini che offendono non solo la trasparenza e la legalità del voto, ma soprattutto la decenza, e che pensavo fossero solo un brutto ricordo delle peggiori pratiche della democrazia cristiana dello scorso secolo.   

Ovviamente, il mio è un piccolo e limitato osservatorio di provincia, ma la sensazione, comunque, è che l’attenzione alla gestione del potere e la conseguente organizzazione delle correnti come veri e propri partiti nel partito, abbiamo profondamente mutato in peggio la natura del Partito Democratico e che sarà difficilissimo rigenerare una comunità sana da questo corpo malato, i cui riti rischiano di celebrare non più la democrazia, ma il suo simulacro.

Conforta il risultato straordinario della città di Palermo dove il dibattito è stato più serio, segno anche della presenza di molti nuovi iscritti veri, perlopiù provenienti da esperienze nei movimenti cittadini, che hanno arricchito il dibattito congressuale. Era proprio questo l’intento della mozione di Gianni Cuperlo: un partito che si apre ai movimenti civici, agli ambientalisti, alle organizzazioni che lottano per la salvaguardia dei beni comuni, ai circoli culturali, ai gruppi di volontariato, alle associazioni che si battono per la tutela dei diritti delle persone, ai movimenti pacifisti. Una marea di protagonisti di alto sentire che sta a distanza dalla politica partitica proprio perché nauseata dalle pratiche correntizie e dalle logiche di potere. Sono loro gli attori che possono arrestare la spirale verso l’abisso e ridare dignità alla politica. A chi è impegnato nel partito in ruoli di responsabilità tocca l’onere e l’onore di facilitare il loro impegno spalancando porte e finestre. C’è bisogno di aria nuova, per non morire. 

I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia.

Enrico Berlinguer

(dalla famosa intervista sulla questione  morale rilasciata a Eugenio Scalfari sulla Repubblica del 28 luglio 1981)