di Daniele Moretto

“TV sorrisi e cannoni”, lo splendido e amaro titolo de “il Fatto quotidiano” dice già molto, se non

tutto. Eppure, bisogna inforcare lenti sociologiche e analizzare questo fenomeno presente nel

paese Italia, non altrove, pertanto ci riguarda. I titoli e i testi delle canzoni, la gestualità, il trucco e

parrucco, i vestiti a generi invertiti e il nudo ostentato, tutto il linguaggio del corpo, lo streep di

Duro per dimostrare la sua diversità di non tatuato, l’esibizione perfino delle parti intime, l’utero-

collana della Ferragni, il peso che si dà a una tale figura e a quella di Fedez (chi sono costoro, che ci

fanno nelle nostre vite, che gioco giocano e ci fanno giocare?). Aspetti un po’ inquietanti che fanno

dimenticare quello principale: il concorso canoro.

Ebbene, la povertà di queste voci è impressionante. Molti non hanno mai fatto un lavoro vocale,

non pronunciano bene le parole, o le biascicano, o vanno in tonalità troppo basse. Più di uno è

stonato come una campana, anzi peggio, il maschio dei “Coma Cose” andrebbe radiato da tutti i

palcoscenici per danneggiamento della cultura canora, e con lui di sicuro J-Ax per indecenza del

testo. Amadeus, con la sua lunga esperienza radiofonica, cioè di ascolto, non sembra interessato a

questo degrado urlato o sfiatato. Confesso: i dieci minuti della quasi novantenne Ornella Vanoni,

dopo le tre ugole maschili di due giorni prima, sono bastati a ripagarmi dell’atrocità musicale di

quasi tutti i sedicenti cantanti. Aggiungo il dopo-festival del geniale irresistibile Fiorello.

Coma cose, LDA, Holly, Colla Zio, Rosa chemical… che nomi sono questi, cosa vogliono dirci? E i

contenuti delle canzoni? Ci parlano di identità liquide, di io turbati o tormentati, o infelici, di una

più o meno consapevole vacuità, di un forte disagio generazionale, alla luce anche di un altro dato,

la somiglianza di molte canzoni, uno stile misto di parlato-rappato (talvolta arrapato, massime in

Rosa chemical). E rappare non è cantare. Il disagio si fa plateale con il raptus di Blanco, che tutto

vuol fare tranne che cantare. “Grazie dei fiori” è davvero molto lontana. E chissà da dove viene

quella rabbia, che non è solo la sua rabbia.

La povertà e la stranezza della gara canora giustifica il ricorso ai vari riempitivi, alcuni dei quali di

un certo rilievo, in verità destinati al frullato della “società della spettacolo”: da Benigni che

insaziabile continua a leccheggiare il potere, a Mattarella che accenna un quarto di sorriso mentre

canta l’inno nazionale, alle “operette morali” di Fagnano, Ebonu e persino Zelensky che invia, oltre

alla lettera, una pattuglia-band che sembra avere il compito di provare a… cantare vittoria.

Un disagio diffuso, quindi, espresso per tutti dai Cugini di campagna, con quel disperato ritornello:

“Non lasciarmi solo!”.

Di Bac Bac