di Tano Siracusa

Kathmandu, foto Tano Siracusa

Non sta bene guardare negli occhi uno sconosciuto, si diceva una volta ai bambini.

Quando incroci lo sguardo di qualcuno, spiegava un amico napoletano, devi capire chi ti sta guardando: può essere rischioso non abbassare il tuo.

Fra gli Indios dell’Amazzonia, raccontava Aldo Lo Curto, ci si abitua a tenere gli occhi bassi davanti agli anziani. Per rispetto.

Lo sguardo può non essere innocente. Lo sguardo che rende possibile il reciproco riconoscimento, la socialità, l’amore, può diventare lo scenario di una sfida, di una pretesa gerarchica, di una volontà di dominio. Lo sguardo del guardiano, della guardia carceraria.

Lo sguardo del fotografo non è mai innocente, tende a degradare l’altro in un semplice oggetto da guardare. Un pezzo di carta appunto, una fotografia.
E’ per questo che la fotografia di strada è difficile. Perchè chi viene fotografato sa di essere oggetto di uno sguardo che non può ricambiare, che avverte oscuramente lo degraderà a un’immagine mai vista di sé, in balìa dello sguardo dell’altro, degli altri.


In Nepal il problema non si poneva. Le persone si lasciavano fotografare come se il fotografo fosse invisibile, o come se pensassero di essere loro invisibili. Nella foto scattata a Kathmandu nessuno guarda verso l’obiettivo, prpbabilmente per semplice gentilezza. Erano tutti gentili, non umili, molto poveri, e togliendo di mezzo la Canon, quando gli sguardi si incrociavano, sorridevano sempre.


In Nepal sono disarmati anche gli sguardi. Forse per questo sono così poveri, schiacciati fra India e Cina, travolti da un terrificante terremoto pochi anni fa, guardati per qualche giorno dal resto del mondo, e subito dimenticati fra le loro macerie.


Oggi le fotografie che documentano la guerra in Ucraina, i suoi orrori, fanno parte della guerra, sono armi. I primi reporter sono stati uccisi. Scattano fotografie inguardabili, oscene, a persone già degradate a oggetti da spostare, da distruggere, impietose come i loro sguardi terribilmente necessari per suscitare in chi guarda la pietà.
Quella che non abbiamo provato per le vittime nello Yemen, in Siria, in Palestina, in Irak, in Afghanistan, in tutte le guerre del mondo, in Nepal e ovunque si muore solo perchè non si guarda, perchè manca lo sguardo di troppo, sempre indiscreto, a volte brutale del reporter.