di Alfonso Lentini

Nota sul libro di Stefano Lanuzza “Caos e bosco” (Oedipus Edizioni, 2020)

Da Dante a Cappuccetto Rosso, sino alle più diverse declinazioni che si sono via via articolate nell’immaginario umano, il bosco assume un forte significato simbolico. Affine al labirinto, il bosco incarna incubi (o desideri) di smarrimento e per questo è un parente stretto del Caos. Per generare stelle danzanti, diceva Nietzche, bisogna fare il caos dentro di sé. Caos e bosco possono dunque trasformarsi in figure generative, costruttive. O in rifugi, approdi, per chi è in fuga da un mondo sentito come opprimente forse perché asservito a un eccesso di pretese solo apparentemente razionalistiche.
Stefano Lanuzza, siciliano d’origine ma abitante quasi da sempre in Toscana, importante studioso di cose letterarie, critico attento e scrittore assolutamente irregolare, in questo suo elegante e complesso volume (“Caos e bosco”, Oedipus Edizioni 2020), racconta consimili declinazioni, ma lo fa in forma aforistica, attraverso una scrittura frammentaria, vagante, anch’essa caotica e labirintica: anch’essa bosco.


O, se si vuole, cometa.


La testa luccicante (e crudele) di questa cometa è infatti “Io dunque son figlio del Caos”, cioè la prima sezione del libro, dove l’autore squaderna a tambur battente una spaventevole sequenza di notizie (forse giornalistiche) di fatti realmente accaduti, ma talmente paradossali, efferati, pazzeschi o anche solo penosamente comici da sembrare incredibili. A questa sconcertante raffica che demolisce ogni luogo comune sulla differenza fra “reale” e “irreale”, segue una coda lunga e sfilacciata (le sezioni successive: “Nel bosco del mondo”, Erranze”, Nonluogo”) dove si stende, in vasta mistura, un’intricata boscaglia di contenuti che vanno dalla satira
alla scheggia di saggio critico, da riflessioni filosofiche a momenti poetici appena abbozzati, dall’invettiva moralistica all’ironia tagliente, da aneddoti fulminanti a considerazioni sarcastiche, sino a semplici flash di parole, quasi microfotografie che inquadrano a sorpresa particolari apparentemente insignificanti del vivere umano e lo scompongono in pixel.

Il progetto di Lanuzza, insomma, è “Aforizzare il mondo”, cioè tentare di mettere in evidenza la natura non sistematizzabile del reale e di rappresentarlo nel suo essere puntiforme e mutevole.

Diamo qui un breve saggio di questi tentativi:


Restituzione. Un uomo dona un rene alla moglie che, dopo il trapianto, vuole
separarsi e divorziare. Allora lui le chiede la restituzione del rene.


Sedia elettrica. Un giovane elettricista disoccupato si uccide sedendosi sulla sedia elettrica che ha fabbricato con le proprie mani.


Apocalisse. Un vecchio prete prevede la data dell’Apocalisse dopo avere incrociato e trasformato in algoritmi matematici le diverse profezie bibliche. Calcola inoltre che solo il 2% della popolazione potrà andare in Paradiso.


Gatta. Appassionata fin da bambina di gatti, miagola, fa le fusa e spesso condivide coi suoi gatti la ciotola della pappa. Recatasi all’anagrafe della sua città, chiede di essere registrata come “gatta”. “Anche per poter chiedere” spiega “un’assistenza sanitaria veterinaria”.


Baby sitter. Quei due bambini di sei e due anni, figli d’una coppia benestante, la giovane baby sitter li accudisce davvero amorevolmente. Poi una sera, rientrando in casa, i genitori trovano i piccoli morti nella vasca da bagno piena d’acqua e la ragazza addormentata in salotto. Lei, poi, racconta d’avere visto il diavolo annegare i bambini.


Con l’aspirapolvere. Lo licenziano in tronco avendolo sorpreso in ufficio a
intrattenersi in un rapporto sessuale con un… aspirapolvere. L’uomo si giustifica spiegando che, solitamente, lui usa l’aspirapolvere per pulirsi le mutande. La giustificazione addotta si rivela assai debole allorché quello, contraddicendosi o per celia, aggiunge che, con lui, l’aspirapolvere si mostra sempre consenziente.


Robin Hood. “Sono Robin Hood” dice alla spaventata cassiera della banca l’uomo che, pistola in pugno, si fa consegnare un mazzo di banconote. La scena si ripete subito dopo da un fruttivendolo e da una parrucchiera. Più tardi, lo strano rapinatore viene fermato dai carabinieri mentre, per
strada, distribuisce denaro ai passanti.


Tante piccole luci nel folto del bosco di sera ti vengono incontro e spariscono appena ti fermi.

Un canto nel buio e tra i cespugli, note che si espandono e variano innumerevoli volte. Frasi ruscelanti, suoni d’acqua con pause, gorgheggi ora crescenti, ora sfumati, cadenzati, lenti… È l’usignolo.


Svolazzano come uccelli nel bosco, i pensieri.


Solo i veri individui si salveranno, ma nel bosco.


Errando nel bosco di un’isola, in un’isola dentro un’altra isola.


Non solo non è necessario capire totalmente gli altri, ma non è nemmeno giusto.


La poesia è un pensiero ‘veloce’.


Desolata isola mediterranea: qui, catastrofe e apocalisse insieme all’abbandono e allo squallore sono figure del quotidiano.


Siamo i nostri ricordi, ma questo non è un bene.


Un uomo che i cinesi definiscono ‘raro’ è colui che ha superato i sessant’anni di vita.


L’antica, originaria sfiducia, tutta siciliana ancor prima che leopardiana, sulle “magnifiche sorti e progressive”.


Ogni cosa, col tempo, diviene ‘altro’.
Spesso la ragione è lo zimbello della realtà.


La cara, e feroce, brava gente.


Nichilista? Colui che pensa che il mondo com’è non dovrebbe essere; e che il mondo come dovrebbe essere non può essere.


Uno scafo di profughi sballottato in piena notte dal mare grosso al largo delle coste siciliane protese, a sud, verso l’Africa… Lo scafo è seguito da una barca con a bordo, in piedi, una figura avvolta in un manto nero squassato dal vento.

Di Bac Bac