di Guido Ruotolo

Koskova Mitrovza. Enclave serba

Spaventoso quello che accadde alla fine del secolo scorso in Kosovo e in Albania. Nonostante le indagini internazionali non avessero trovato prove ma solo indizi delle deportazioni di massa, del traffico di organi, degli omicidi, la giovane Repubblica nata sotto il protettorato delle Nazioni Unite si è macchiata di crimini orribili.
Partiamo dalla fine. Nel 2011, dodici anni dopo i fatti, furono portate avanti delle indagini della “Special Investigation task force” con sede a Bruxelles, con a capo il diplomatico americano Clint Williamson, con lo scopo di verificare le asserzioni del rapporto di Dick Marty, del Consiglio di Europa. Per tre anni la task force indagò arrivando a queste conclusioni: «Non è stato possibile raccogliere elementi probatori sufficienti per formulare una imputazione nei confronti di chicchessia. Non vi sono prove del coinvolgimento di Hashim Thaci. Vi sono tuttavia forti indizi che su una scala molto ridotta, un piccolo numero di individui siano stati uccisi al fine di estrarne e trafficarne gli organi». «È stata accertata la deportazione illegale in Albania, tra duecento e quattrocento prigionieri serbi, rom, collaborazionisti albanesi nell’immediato dopoguerra».
È vero che per gli investigatori dell’Aja non sono state trovate le prove della responsabilità di Thaci negli omicidi mirati ad alimentare il traffico di organi, ma un vecchio rapporto di “Balkan Insight di Birn e Center for Investigative Reporting”(USA) ipotizzava proprio il contrario.
Finalmente, per alcune delle atrocità commesse in quegli anni, oggi, siamo nel novembre 2020, una manciata di dirigenti dell’Uck e di vertici istituzionali kossovari sono stati chiamati sul banco degli imputati delle Corti speciali dell’Aja. E i dibattimenti sono fissati per il prossimo anno.
Partiamo dal processo contro Hashim Thaci, comandante dell’Uck, varie volte primo ministro fino a ricoprire, dal 2016, la carica di Capo dello Stato, dalla quale si è dovuto dimettere il 5 novembre scorso per la notifica dell’ordine d’arresto dell’Aja. Lui e Kadri Veseli, ex Presidente del Parlamento e capo dei Servizi segreti, e Rexhep Selimi e Jakup Krasniqi sono accusati di arresti illegali, trattamenti disumani, torture, sparizioni forzate, omicidi e atti di persecuzione avvenuti fino al settembre 1999.
L’accusa, nel merito, contesta ai quattro – tutti detenuti perché, se liberi, potrebbero influenzare i potenziali testimoni – di crimini di guerra e contro l’umanità, di aver fatto parte di «una associazione criminale» che mirava a prendere il controllo del Kosovo «attraverso intimidazioni, detenzioni illegali, maltrattamenti, torture e violenze fino alle sparizioni forzate  degli oppositori».
La maggior parte dei crimini sono stati commessi nei centri di detenzione dell’Uck in Kosovo e in Albania, dal marzo del 1998 al settembre del 1999».
Ma a L’Aja sono in corso altri processi. Contro Salih Mustafa, comandante di un centro di detenzione, accusato di detenzione arbitraria, torture e un omicidio. Contro Nasim Haradinaj e Hysai Gucati, due veterani di guerra, che hanno rivelato documenti con nomi di testimoni protetti per intimidire gli stessi e intralciare il corso della giustizia. Anche per loro il dibattimento è fissato per metà del 2021.
È impressionante lo spaccato che emerge dalla lettura delle 27 pagine del rapporto del Consiglio d’Europa, depositato da Dick Marty, ex procuratore svizzero, nel gennaio del 2011. Una pietra miliare delle indagini indipendenti che hanno scoperchiato il “Vaso di Pandora”.
«Le esecuzioni e le estrazioni di organi sarebbero avvenute vicino alla città di Fushe Kruje, in Albania, a 20 km a nord di Tirana. Il personale medico che ha condotto le operazioni in una clinica improvvisata ha organizzato la spedizione degli organi all’estero per i cosiddetti “trapianti di cadaveri”.
Il rapporto del Consiglio d’Europa sostiene che l’anello di congiunzione del traffico di organi è stato identificato in Shaip Muja, ex capo ufficiale medico dell’Uck. «I segnali di collusione tra la classe criminale e le più alte cariche politiche e istituzionali sono troppo numerose e troppo gravi per essere ignorati. È un diritto fondamentale dei cittadini del Kosovo conoscere la verità, l’intera verità, e anche una condizione indispensabile per la riconciliazione tra le comunità e un futuro prospero del Paese».


Il rapporto Marty ha individuato anche le strutture di detenzione illegale in Albania, durante la guerra, dove furono trasferiti gli arrestati, e qui torturati e anche uccisi.:«CAHAN. Avamposto logistico dell’Uck, al confine con il Kossovo. KUKES. Una baracca a un piano in un impianto meccanico in disuso nella città al confine con il Kossovo. DURAZZO. Base Uck in un hotel sul lungomare, nel porto più grande dell’Albania».
Nel dopoguerra, le strutture di detenzione furono tutte trasferite in Albania per evitare i controlli delle forze di interposizione delle Nazioni Unite. Secondo il rapporto del Consiglio d’Europa, strutture di detenzione dell’Uck dopo la guerra furono aperte a BICAJ, dove una casa privata fungeva da punto di transito per i prigionieri; a BURREL,dove due strutture e una casa in un complesso al di fuori della città ospitavano i prigionieri in transito; a RRIPE una fattoria a due piani, conosciuta come la ”CASA GIALLA”, che è stata perquisita e ispezionata dalla missione Onu in Kosovo. Fungeva da transito per i prigionieri; FUSHE KRUJE. Fattoria indipendente a due piani e destinazione finale dove avrebbe avuto luogo il prelievo di organi da prigionieri giustiziati».
L’inchiesta del Consiglio d’Europa rivela che il traffico di organi era controllato dal cosiddetto “ Gruppo DRENICA” a cui capo c’era Hashim Thaci. Vi faceva parte anche il capo medico dell’Uck, consigliere di Thaci, Shaip Muja, che ha negato le accuse di detenzione illegale, torture e assassinio di albanesi collaborazionisti e avversari politici tra il 1998 e il 1999.
I servizi segreti e militari albanesi hanno preso parte agli interrogatori dei prigionieri dell’Uck in Albania. Le autorità albanesi si sono rifiutate di collaborare alle indagini della Ue sui crimini di guerra e altri abusi che avrebbero avuto luogo in Albania.
«Le indagini avviate dalla missione Onu in Kosovo sulle accuse di espianto di organi in Albania non sono state concluse e le prove raccolte dagli investigatori sono state distrutte. Abbiamo il diritto di esprimere lo stupore che sia stato compiuto un tale passo».


La CASA GIALLA è una casa della famiglia albanese Katuci a RRIPE, vicino a Burrel, nel nord dell’Albania dove, nel 2004, i pubblici ministeri delle Nazioni Unite hanno cercato le prove che gli organi fossero stati prelevati illegalmente da serbi e altre persone non albanesi rapite dal Kossovo nel 1999. Le vittime furono rapite dall’Uck e poi trasportate dal Kosovo in Albania in veri e propri campi di concentramento nell’Albania settentrionale.
Nel 2008 il magistrato internazionale Carla Dal Ponte ha pubblicato un libro (“The Hunt”) in cui ha raccolto prove piuttosto ampie che gli albanesi del Kosovo contrabbandarono organi umani di serbi rapiti dopo la fine della guerra in Kossovo nel 1999.
«Pochi mesi dopo (ottobre 2002) – scrive la Dal Ponte – gli investigatori del Tribunale e della missione Onu in Kosovo, hanno raggiunto l’Albania centrale e la “casa gialla” che le fonti giornalistiche avevano rivelato come il luogo in cui venivano uccisi i prigionieri per trapiantare i loro organi».
«La casa adesso era bianca. Il proprietario ha negato che fosse stata mai ridipinta, anche se gli investigatori hanno trovato tracce di giallo lungo la base delle sue pareti. All’interno gli investigatori hanno trovato pezzi di garza, una siringa usata e due sacchi di plastica per flebo incrostate di fango e flaconi vuoti di medicinale. C’erano tracce di sangue lungo le pareti e sul pavimento di una stanza».
Le autorità albanesi vietarono di scavare alla ricerca di fosse comuni.
Il 4 aprile 2008 Human Rights Watch (HRW) ha scritto al,primo ministro kossovaro, Thaci e a quello albanese, Sali Berisha, chiedendo di aprire indagini sotto la supervisione internazionale.
Il 5 maggio 2008 HRW ha ritenuto serie e credibili le accuse della Del Ponte. Le vittime, secondo quanto riferito, erano state più di 400 serbi dispersi dalla guerra.
È stato doloroso scoprire e leggere quello che è accaduto in questa terra amata. Prima i croati e i serbi, poi gli albanesi del Kosovo e quelli complici dello stesso Paese delle Aquile. E capire che la crudeltà umana non si ferma davanti a nulla. Ma penso anche alla forza della umanità dolente che si incammina in un viaggio avventuroso mettendo in conto anche la morte pur di fuggire dal proprio destino. Mi sto avvicinando ormai agli anni della Libia, dei flussi migratori verso Lampedusa. E alla barbarie italiani a all’epoca del leghismo forcaiolo e di una destra imbelle. Ma di questo avremo modo di parlarne.

Di Bac Bac