di Alfonso M. Iacono

Sono fortunato. In questi tempi difficili di Covid, sono in campagna. Mentre sto scrivendo il mio sguardo si alza di un poco, scavalca quella finestra che è il mio computer e ne trova un’altra più grande. Ha uno sfondo ordinato fatto di campi i cui lati più lunghi vanno da nord a sud oppure da est a ovest. Sono rettangoli di marrone ora più chiaro ora più scuro che stanno accanto a rettangoli verdi e poi ancora altri marrone e così via, sempre più piccoli, fino ad una barriera, l’orizzonte, oltre il quale c’è il mare. Lo vedo e non lo vedo. Non so se lo vedo perché so che è là o se quella striscia sottile lì in fondo al limite dell’orizzonte è l’acqua marina che si specchia al sole. Tra la mia finestra e l’orizzonte, la distesa è delicatamente interrotta da una fila di alberi che segnano una strada. Non so da dove viene, non so dove va. E’qualcosa di più di un sentiero e, a differenza che nei boschi, qui non si interrompe. E’solo che non sembra avere un inizio né una fine. Poi qua e là ulivi sparsi, ma so che dietro di me e la mia stanza, a salire sulle colline, gli ulivi sono tanti, tantissimi. Sulla destra della distesa vedo come uno specchio o meglio come una striscia che fa da specchio. Talvolta è blu, talvolta è argento. Il lago e la sua calma. Al di là del lago, in modo fantasmatico e ombroso, si staglia la costa alta, lontana e maestosa. Il cielo è fatto di luce. Nel pomeriggio, man mano che la volta celeste si gira verso il mare, diventa sempre più bianco, quasi che la luce volesse bruciare il colore. Al tramonto, il colore, con i suoi rossi e i suoi viola, si prende la rivincita e, avvolgendo la luce, piano piano la fa scomparire, mentre il lago riemerge fra i campi.

Mentre guardo, nella mia mente, comincia a sovrapporsi un’altra distesa, un’altra valle, un altro mondo. E’un declivio che porta verso il mare ma è fatta di onde collinari. Sulle cime di una di essa, vi stanno i templi, quasi indifferenti, nella loro superiorità aristocratica, al mare che hanno al loro fianco e alla collina che li guarda dall’altro lato. Anche lì vi sono gli ulivi, ma una volta l’anno la valle si tinge di bianco dei fiori di mandorlo. La pietra, il tufo arenario, è di un giallo che volge al rosso, quasi volesse imitare il sole con i suoi turbamenti di colore, nel suo lento e inesorabile movimento dall’alba al tramonto. Il mare sfuma tra il verde e il blu prima di diventare bianco quando, agitato, va ad abbracciare la spiaggia.I due mondi si sovrappongono e si intrecciano, somiglianti e differenti. L’uno è in Toscana, vicino davanti a me, l’altro in Sicilia, lontano dentro di me. Forse non hanno niente in comune, tranne il mio sguardo, che è desiderio e mancanza, ma anche memoria e la memoria non è solo il passato che affiora, è anche il presente che lo accoglie.

foto di Tano Siracusa

Di Bac Bac