di Francesco Gangarossa

Presentarsi da soli è sempre un po’ difficile per chi non ama molto parlare di sé e preferirebbe che fossero i fatti a parlare per lui, tanto più se vive anche in una città straordinariamente vanesia che delle chiacchiere (e dei chiacchieroni) sembra innamorata. «Sceccu ca s’avanta ‒ dice il proverbio ‒ vali mezza lira», e ha ragione. D’altra parte è vero che a presentarci, noi della T.T.T., siamo abituati sin dall’inizio, da quando siamo spuntati fuori dal nulla nelle piazze, tra le persone, nei palazzi del Comune, perfino ‒ e soprattutto ‒ tra gli alberi e l’oceano di spazzatura del Parco dell’Addolorata (qualcuno ricorderà meglio di altri). E ancora oggi dobbiamo farlo ogni volta che scriviamo un progetto, in cui puntualmente ci viene richiesto di descrivere chi siamo per dimostrare che siamo competenti e bravi, bravissimi, che meritiamo di ottenere un altro finanziamento per Agrigento. Questa circostanza però è diversa e vorremmo approfittarne per una presentazione più schietta. Che cos’è quindi la T.T.T.? La Tierra, Techo, Trabajo (nome altisonante per alcuni, semplicemente incomprensibile per gli altri) nasce nel febbraio del 2019 quando alcuni amici, neolaureati e laureandi, scoprono di avere in comune anche l’imprevisto desiderio di tornare a vivere nella propria città e decidono di costituire insieme un’associazione di promozione sociale. La decisione appare insolita (e non meno incomprensibile del nome), ma questi amici non vogliono fare i “privati cittadini”: non pensano a trovarsi un lavoro per mettere su famiglia e pagare le tasse al Comune di Agrigento; anche perché di lavoro qui ce n’è poco, come sanno tutti. Questi amici vogliono tornare ad Agrigento con l’ambizione di viverci inventandosi “qualcosa di buono per sé e per gli altri”, incuranti una volta per tutte della litania di disfattismo che fa da sottofondo alla vita della città praticamente da sempre. Altrimenti si tratterebbe soltanto di inventarsi un lavoro come un altro per tirare a campare, mentre Agrigento resta quella che è: un posto in cui le cose non vanno come dovrebbero andare. Che cosa si sono inventati quindi gli amici della T.T.T.? Nulla, per dirla francamente. Piuttosto si sono guardati intorno e hanno cominciato a studiare per portare a casa quanto di buono hanno ritenuto che si facesse fuori (non solo su al Nord): progettazione e imprenditoria sociale sul resto. La progettazione quale capacità trasversale di elaborare tecnicamente i progetti, reperire i finanziamenti e guidare la loro realizzazione; l’imprenditoria sociale quale mezzo di sviluppo sostenibile in quanto orientato alla positività dell’impatto sociale non meno che al profitto economico. Strumenti, entrambi, scelti nella consapevolezza di un contesto storico caratterizzato dalla crisi piena e irreversibile dei modelli tradizionali: del modello di crescita economica basato su alte emissioni di carbonio e consumo delle fonti di energia non rinnovabili; del modello di Welfare State di tipo assistenziale; del modello di amministrazione dei territori da parte dei Governi centrali​fondato sull’erogazione diretta di risorse finanziarie. Crisi strutturali e sistematiche che si ripercuotono su tutti gli ambiti della società e alle quali le comunità locali possono sperare di far fronte solo rafforzando il proprio livello di autonomia e la capacità di reazione dinanzi all’imprevisto; ovvero, come si usa dire oggi con due termini inflazionati e terribili, la propria proattività e resilienza. Questo, in breve e per linee teoriche e generalissime, quello che col tempo si sono messi in testa quelli della T.T.T. e che in parte hanno già realizzato, almeno sul fronte della progettazione, con la vittoria di tre bandi dopo un anno e mezzo di attività. Tra cui anche il bando promosso dalla Fondazione «Realizza il cambiamento» e ActionAid International Italia, che la T.T.T. ha vinto presentando “Sbem!” con l’obiettivo, per l’appunto, di contribuire ad accrescere la capacità di resistenza politica e sociale della comunità agrigentina accrescendone gli spazi di partecipazione democratica al di fuori delle sedi istituzionali del potere. In che modo? “Sbem!” è, prima di tutto, un progetto di monitoraggio civico, prevede cioè una serie di azioni il cui scopo è quello di permettere ai cittadini di controllare l’operato della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento all’utilizzo dei finanziamenti pubblici: analisi dei problemi della città, mappatura dei progetti comunali, valutazione delle politiche pubbliche dei diversi attori istituzionali, oltre che reportage e approfondimenti mirati sui temi di maggior interesse collettivo. Così la popolazione viene coinvolta nella produzione e fruizione di dati oggettivi che dissipano le opacità amministrative. Ma “Sbem!” è anche più di questo, perché il suo fine ultimo è quello di riportare in primo piano l’iniziativa dei cittadini stimolandone la partecipazione attiva al governo del territorio. Perciò il lavoro di monitoraggio in senso stretto è finalizzato in realtà all’introduzione e all’attuazione di alcuni strumenti normativi di democrazia partecipativa, ancora poco diffusi ma particolarmente preziosi, come il bilancio partecipato, il baratto amministrativo e i patti di collaborazione per l’amministrazione condivisa dei beni comuni: strumenti che consentono ai cittadini di impegnarsi in prima persona nella gestione della propria città piuttosto che limitarsi a un voto vissuto come un puro atto di delega e deresponsabilizzazione nei confronti della Cosa Pubblica. La convinzione al fondo di “Sbem!” è infatti che bisogna prima essere cittadini migliori, più informati e impegnati, per essere in grado di esprimere davvero una classe politica migliore. Così la T.T.T. dà a chiunque ne abbia la volontà la possibilità di “fare la propria parte”. Questo è, in breve e per linee teoriche e generali, “Sbem!”. Ed è un esempio pratico e concreto di come i progetti finanziati e portati avanti permettano agli amici della T.T.T. di fare qualcosa di buono​ per sé (crearsi continuamente il lavoro) mentre fanno qualcosa di buono per gli altri. Sono ancora agli inizi, naturalmente: il cammino è lungo, il percorso accidentato e il programma audace. Ma la fortuna aiuta gli audaci.

(foto Tano Siracusa)

Di Bac Bac