di Tano Siracusa

Via Neve è un’importante arteria del centro storico agrigentino, tratto terminale di un percorso che dal Monastero di Santo Spirito conduce alla via principale della città, via Atenea.
Ieri in via Neve è apparso un uomo con una grande scopa, i guanti e la divisa della ditta che spazzava la strada. Non i soliti proprietari dei B&B o gli abitanti dei pianiterra che temono i topi e gli scarafaggi.
Quell’uomo con i guanti, la divisa e la scopa non si vedeva da tanto tempo; e anche via Neve così pulita come un prolungamento di casa propria. Quasi come a Porta di Ponte (ma solo davanti i palazzi istituzionali) dove ogni mattina di addetti alla pulizia ce ne sono almeno un paio al lavoro.
Sono uscito portandomi la videocamera per fare delle riprese veloci al Viale della Vittoria, in centro storico fra piano Sanso e via Argento, in via Atenea. Di pomeriggio a San Leone e a Vallicaldi. Poi ho montato le riprese, aggiungendo solo quelle realizzate pochi giorni fa vicino la chiesa che fronteggia il campo sportivo.
Il risultato della breve verifica visiva conferma l’impressione di una città dove i rifiuti vengono espulsi dalle abitazioni, dagli spazi privati, verso uno spazio pubblico avvertito e usato come generica, indifferenziata discarica. Carte, cartoni, plastica, mobili, vestiti, sacchetti con resti di cibo, bottiglie di birra, cicche e scatole vuote di sigarette, tutto per strada, sui marciapiedi ai bordi delle strade, fra le piante, sotto i monumenti. Non è ovunque lo stesso degrado, il passaggio dal Viale dell Vittoria a Vallicaldi è una discesa all’inferno.


Più volte Nino Cuffaro, anche su queste pagine, ha evidenziato le disfunzioni di un servizio comunale da più di venti anni appaltato alla stessa ditta, che effettua solo una parte dei lavori previsti dal contratto. Quello dei rifiuti, del loro smaltimento, è ovunque un affare economico che attira attenzioni e interessi spesso infiltrati dalle cosche. Ma semplificare è rischioso. Ad Agrigento l’ ’affare rifiuti’ è intrecciato allo sviluppo urbanistico abnorme verificatosi nel secondo dopoguerra.
La città durante la seconda guerra mondiale accoglieva più di 40 mila abitanti, la quasi totalità entro il vecchio recinto delle mura chiaramontane. Fuori le mura il quartiere di Rabato, il Viale della Vittoria e il quartiere di San Vito con il vecchio carcere, Villa Garibaldi poi demolita, le case INCIS e la Rupe Atenea sulla collina occidentale. La città si poteva attraversare allora a piedi da Rabato o dal Duomo fino alla Rupe Atenea in meno di un’ora.
Oggi Agrigento ha meno di 60 mila abitanti ma la sua estensione territoriale è diventata quella di una metropoli, sommando ai piani urbanistici sovradimensionati una diffusa pratica di abusi edilzi.
Abbandonato il centro storico si sono estese e moltiplicate le periferie elevando i costi di servizi essenziali, dal trasporto urbano alla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. I costi sono diventati quelli di una metropoli, le casse sono rimaste quelle di un piccolo Comune.
Territorio estesissimo, ramificato, ‘esploso’ aveva detto Boeri qualche anno fa dopo una breve visita, innervato da una diffusa propensione all’abusivismo, Agrigento è diventata una città di piccole, diffuse discariche e di grandi raccolte di rifiuti generici a cielo aperto, come quelle che circondano Parco Icori.


Bisognerà mettere mano all’intero sistema, riorganizzarlo, probabilmente restituirne la gestione al Comune. Ma resterà comunque un punto di grande resistenza: lo spazio comune, pubblico, percepito da una fascia consistente degli abitanti come fosse ‘degli altri’, non anche proprio.
L’ ’abuso’ afferma il valore del ‘dentro’, del privato e personale, e il disvalore del ‘fuori’, del comune e del pubblico. Il ’fuori’ non viene percepito come un bene comune, una casa da tenere pulita, da arredare. E’ l’antica tara di un individualismo e di un familismo tendenzialmente antistatuali, che ha segnato l’intero corso delle vicende meridionali, dalla opposizione frontale e armata del brigantaggio alla mafiosità, che ha pervaso ed è stata assorbita nelle pieghe del tessuto sociale e delle istituzioni fin dall’unificazione nazionale.


Bisognerebbe cercare oggi un passaggio difficile fra due sponde diverse e distanti. I controlli e le sanzioni contro gli ‘abusivi’ e la loro trasformazione in cittadini, persone consapevoli che lo spazio privato si estende in quello pubblico, che fra gli ‘altri’ ci sono anche loro, quelli che riempiono i marciapiedi e le strade di spazzatura. Che anche loro, fuori dagli spazi domestici, sono ‘altri’. Bisognerebbe chiedere uno sforzo a tutti, dentro e fuori le istituzioni, fra i partiti, le associazioni, il volontariato, tentando di affermare nel senso comune il modello di comportamenti ecocompatibili come conveniente. Per una ‘capitale della cultura’ sarebbe uno sforzo doveroso. E un ambizioso, vasto programma.

foto di T. Siracusa

Di Bac Bac