di Pepi Burgio
Non conoscesse la scuola, l’autore di questa nota, proprio lui che ne ha frequentato le aule per alcuni decenni, un modesto consiglio lo darebbe. Non conoscesse la scuola, le litanie burocratiche del gergo in cui si insediano le frenetiche pigrizie mentali e l’ostinato conformismo, un appello, appena sussurrato, lo farebbe: cioè l’invito a leggere in classe qualche pagina di Vita e destino di Vasilij Grossman, il grande scrittore ucraino di origini ebraiche. Grossman, abbracciate da giovane le idealità comuniste e descritto in pagine indimenticabili e commoventi l’immenso sacrificio del popolo sovietico nella II guerra mondiale, finì, negli anni immediatamente successivi, sperimentate le odiose persecuzioni antisemite in Unione Sovietica, per prendere decisamente le distanze da quel regime e da quella visione del mondo che tormentò e oppresse lui e le sue opere.
Vita e destino, assieme ad esempio ad alcune opere di Primo Levi, di Fenoglio o di Rigoni Stern, potrebbe costituire una preziosa fonte a cui attingere come contributo all’educazione letteraria, storica, filosofica, e prima ancora civile, delle giovani generazioni.
Qui viene suggerita una delle pagine emblematiche del libro, nella speranza venga raccolta da qualche educatore di buona volontà.
Leonardo Sciascia ha ricordato una volta che ne I promessi sposi è contenuta l’intera storia italiana, perfino quella delle Brigate Rosse. Di Vita e destino si può dire che contempli le più svariate forme, così care alle nostre scuole, in cui viene scomposta l’educazione, perfino quella stradale.
A sfogliare con piglio scettico quanto appresso viene proposto è Mostovskoj, che si dedica alla lettura degli “scarabocchi”, così sprezzantemente li definisce, di Ikonnikov, prigioniero come lui in un campo di concentramento nazista. Vasilij Grossman, opportunamente, in coda all’opera pone l’elenco dei numerosi personaggi che popolano il romanzo; e definisce Ikonnikov come “ex seguace del tolstojsmo”, e Mostovskoj “bolscevico di lunga data”. Del tolstojsmo Ikonnikov conserva il richiamo alla semplicità contadina, alla purezza dei sentimenti che rivelano nell’uomo e nella natura l’opera di Dio, all’amore per gli altri come scopo della vita; ovvero la religione cristiana originaria, prosciugata dai dogmi e dal misticismo, una religione tangibile, efficace, che non prometta, é Tolstoj stesso a scriverlo nel diario del marzo 1855, beatitudine futura, ma dia beatitudine sulla terra.
La prima parte degli “scarabocchi” di Ikonnokov elenca una lunga sequela di inquietanti interrogativi circa il bene e il male di stampo filosofico: molto interessante ma non altrettanto suggestiva. In essa è narrato il destino del bene quando, anelando ad universalizzarsi, si fa istituzione e veleggia inevitabilmente verso un esito “tremendo e irrazionale”.
La seconda, sincera e appassionata, descrive la “forza incrollabile dell’idea del bene sociale” del suo paese, orribilmente sfregiata da chi, funzionario di un’idea bella e grande, “ha ucciso senza pietà, ha rovinato la vita di molti, ha separato le mogli dai mariti, i figli dai padri”.
Infine, aldiquà del bene “grande e minaccioso”, Ikonnokov, in un crescendo poetico di forte impatto emotivo, espone il suo concetto di bontà: quella delicata e “spicciola”, senza testimoni, senza grandi teorie, quella “della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, quella del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile”. C’è in questa esemplificazione, in apparenza minimalista, un evidente riflesso del “discorso della montagna”; sia nella assunzione, per l’esperienza cristiana, dell’assoluta rilevanza del drammatico, infattibile secondo l’ Ecclesiaste, rigetto della vanità, che per il capovolgimento del rapporto tra bontà debole e forza. Scrive Ikonnikov: “la bontà è forte sino a quando è priva di forza. Appena la si vuole trasformare in forza [istituzione], la bontà si perde, scolora, si offusca, svanisce”. C’è, inoltre, l’eco della seconda lettera ai Corinzi, allorché a Dio che gli ricorda come la sua potenza si mostra compiutamente nella debolezza, s. Paolo così replica: “preferisco gloriarmi delle mie debolezze, affinché Cristo collochi in me la sua dimora”.
In conclusione, ecco qui appresso quel brano di Vita e destino: non sarebbe male se venisse presentato, questo come altri, alle ragazze e ai ragazzi della scuola.
“In quest’epoca tremenda, […] la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa.
In un villaggio arrivano i tedeschi, i vendicatori. Il giorno prima due soldati nazisti sono stati uccisi per strada. Verso sera fanno uscire di casa le donne e ordinano di scavare una fossa sul limitare del bosco. Nel frattempo alcuni soldati si sistemano in casa di una vecchia. Il marito viene convocato da un polizei e condotto con altri venti contadini in un ufficio. Lei non chiude occhio fino al mattino: i tedeschi trovano un paniere di uova e un vaso di miele in cantina, accendono la stufa, si preparano una frittata e si scolano la vodka. Poi il più vecchio suona l’armonica mentre gli altri battono il tempo con i piedi e cantano. Non degnano di uno sguardo la padrona di casa, neanche fosse un gatto, e non un essere umano. La mattina all’alba controllano i mitra, il più vecchio preme involontariamente il grilletto e si spara una raffica allo stomaco. Urla, agitazione. Gli altri lo bendano alla meno peggio e lo stendono sul letto. Ma poi li chiamano per l’adunata. A gesti i tedeschi ordinano alla donna di prendersi cura del ferito. Lei si rende conto che le basterebbe poco per soffocarlo: quello farfuglia a occhi chiusi, si lamenta, schiocca le labbra. Poi apre gli occhi di colpo e dice distintamente: “Donna, acqua”. ‘Maledetto’ gli risponde lei. ‘Potessi soffocarti…’. Ma gli dà da bere. Lui la prende per un braccio e le fa segno di tirarlo su, che il sangue gli impedisce di respirare. Lei lo solleva, lui si aggrappa al collo di lei. In quello stesso momento si sente sparare, e la povera donna trema come una foglia. In seguito, quando racconterà l’accaduto, nessuno la capirà né lei saprà spiegarsi.”
Terminata la lettura dell’intero, alto testo di Ikonnikov, Mostovskoj, il “bolscevico di lunga data”, esclama: ‘Quante sciocchezze!’; ma solo dopo esser rimasto per un pò di tempo con gli occhi socchiusi.
L’articolo è stato pubblicato anche su Suddovest