di Davide Natale

È l’abitudine a tanta bruttezza che irride il presente, così come sono a volte le auspicate programmazioni di sostenibilità ad ingannare il futuro, apparendo non certo degne di una capitale culturale. Sorprende Agrigento, lo fa davvero. E sorprende non poco il nuovo posizionamento di singoli e di aggregazioni di cittadini, di partiti e associazioni i quali hanno, non molti decenni addietro, sostenuto la necessità di stravolgere Agrigento determinandone una condizione di insostenibilità e che oggi, invece, ne sostengono il merito e la bellezza. Come può una città, una provincia, esser da sempre tra le ultime per qualità della vita e poi, improvvisamente, senza aver cambiato condizione e senza aver voluto cambiar nulla, meritare di esser Capitale della Cultura?

Di tutto ciò discutevo, pochi giorni prima della proclamazione di Agrigento a Capitale della Cultura, con un amico, convinto sostenitore invece, al contrario di me, della giusta candidatura di Agrigento quale esempio nazionale di aggregazione umana compiuta e risolta. E del tutto vane e inutili le mie domande, i dubbi, le argomentazioni sul come e sul perché abbia potuto, etuttora può, una città rassegnata da sempre ad esser, senza sorpresa e senza orgoglio, relegata tra le ultime posizioni di quasi tutte le graduatorie nazionali, a voler concorrere quale Capitale della Cultura Italiana.

Credo ci sia qualcosa che davvero sfugge alla capacità di giudizio e che inganna la possibilità di interpretare correttamente la realtà, ma che con tutta evidenza attiene ad altre e a me non intellegibili categorie.

Agrigento, per sostenibilità complessiva, intendendo con questa una serie di parametri che non si limitano a meri fattori economico/finanziari, per quanto non del tutto ignorabili, è da sempre posizionata tra le ultime a livello nazionale.

Basti pensare alla asfittica presenza di servizi per bambini, giovani, anziani, alla mobilità cittadina che,stante l’immensità del territorio comunale, è del tutto insostenibile e demandata quasi esclusivamente alla possibilità del singolo cittadino nell’utilizzo del mezzo privato. O al sistema di smaltimento dei reflui fognari che ha messo e mette a rischio la costa ed il mare. O al sistema di distribuzione idrico che noi tutti conosciamo e che per il quale non è necessario davvero aggiunger una sola parola. O ancora alla qualità dell’urbanistica e dell’edilizia complessiva, alle sue incompiute decennali, o peggio alle migliaia di ragazzi che qui non hanno trovato nulla per la loro personale realizzazione, o ancora sarebbe sufficiente guardare dalla collina della città vecchia, da est ad ovest, da nord a sud, la semina a grano di migliaia di edifici venuti su senza alcun controllo o ragione, osceni e indegni palazzi che hanno consumato gran quantità di suolo e che oggi difficilmente riusciamo a gestire e definire parte corretta della sostenibilità futura.

Quale rapporto insista tra una mancata reazione alla miseria decennale in cui ha versato, e versa, la città e l’improvvisa gioia per la nomina a Capitale della Cultura Italiana appare ad alcuni poco chiaro. Nel frattempo il 2025 è vicino, troppo vicino per consentire alla classe dirigente cittadina di cancellare decenni di ignavia, bruttura, insipienza, miopia, incapacità, e non saranno certo qualche applauso e qualche parola di circostanza a rassicurarci sulla riuscita di quello che tutti mostrano di aver confuso per un evento, una rappresentazione. La rappresentazione non corrisponde alla realtà. Nella realtà Agrigento non è la città evoluta, sostenibile, colta, che ha millantato di essere.

Di Bac Bac