di Tano Siracusa

Lo chiamavamo il Principe. Lui e i suoi due amici venivano da Casablanca e trascorrevano l’estate a Imsuane dove su una scarpata sopra l’insenatura della costa avevano sistemato una comoda tenda. Se ne intravedevano altre distanziate nella radura. Imsuane si raggiungeva a piedi, una camminata di mezzora da dove fermava l’autobus che da Essaouira andava a Safi.

Ma prima o poi qualcuno passa e da un passaggio, aveva detto Mohamed. E in effetti dopo un quarto d’ora di camminata nel sole polveroso della campagna un furgone si era fermato e ci aveva lasciati davanti l’unica costruzione in muratura di Imsuane, una baracca apochi metri dal porticciolo, dove si poteva mangiare il pesce appena pescato. C’erano una decine di barche nell’insenatura, ma i pescatori dovevano abitare in qualche villaggio vicino perchè a Imsuane non c’era un tetto sotto il quale dormire e neppure un autobus sgangherato per tornare in città. Il prossimo autobus sarebbe passato alle nove del mattino e ormai cominciava a imbrunire.

Dormirete da noi, avevano detto.


Il principe, solenne e imperturbabile, era il più giovane dei tre, mentre il più anziano si muoveva con l’agilità di una capra dentro e fuori la tenda sull’unica gamba e la stampella. Mohamed, che era il più loquace, mi aveva subito affiancato alla discesa dell’autobus e si era messo a chiacchierare. Era curioso, mi aveva chiesto cosa facevo per vivere ed era sembrato impressionato dal mio essere un prof. laureato in filosofia.


Loro avrebbero dormito fuori, ‘sotto le stelle’ aveva detto il Principe con un mezzo sorriso, mentre gli altri due preparavano un sontuoso tagine di pesce.
Erano musulmani praticanti, facevano le preghiere, non fumavano, non bevevano e giocavano a scacchi. Ospitare tre occidentali miscredenti, manipolati dalla propaganda occidentale, offrire il meglio che avevano, festeggiarli, era per loro un’insperata novità.
E quello che succede in Iran? La rivoluzione khomeynista? si chiedeva. E’ un esperimento, dicevano tranquilli, ma l’Islam è più grande di qualunque esperimento.
Quella notte dopo cena era venuto a trovarci un altro personaggio. C’era la luna e si vedevano scintillare nell’oscurità i suoi denti di coniglio. Aveva saputo del nostro arrivo e che io ero un professore, perciò avrebbe avuto piacere di conversare un po’ con me di filosofia contemporanea. Aveva detto proprio così, con un tono sostenuto ma circospetto. Non qui, domani sulla spiaggia, da soli, aveva sussurrato.
Era un giovane intellettuale marxista, una rarità, era comunista e i comunisti sono fuorilegge mi spiegava passeggiando vicino al mare, molti costretti alla clandestinità. Conosceva benissimo Althusser ed era molto curioso di Gramsci, che non aveva avuto modo di leggere. Aveva anche lui una grande fede: la scienza. Risolverà ogni problema, sosteneva convinto e tenendosi alla larga dalla risacca dell’alta marea. Anche il nostro essere finiti? gli avevo chiesto. Mi aveva guardato per un po’ attraverso le lenti da miope e mostrando i lunghi denti da roditore. Anche, aveva risposto.

Ero tornato un anno dopo a Imsuane, questa volta in macchina e avevo ritrovato i tre amici di Casablanca nella loro tenda. In quella occasione, nella costruzione in muratura dove cucinavano il pesce, avevo scattato la foto al Principe, che ci aveva poi chiesto un passaggio per la città. Eravamo già in quattro e ci eravamo stretti.

All’ingresso di Essaouira un gendarme incollerito ci aveva fermati e lo aveva fatto scendere dalla macchina urlando in arabo. Non perché fossimo in troppi ma perché un berbero con quattro occidentali nel 1985 per le autorità locali era di troppo.
Il giorno dopo il Principe era sulla torre del Porto, alto, solenne, imperturbabile sotto il lento e strepitante vorticare dei gabbiani.
Essaouira è molto umida e ventosa, le donne anziane camminavano dondolandosi per l’artrosi come bambole russe, avvolte nella ruvida lana delle loro coperte a strisce.

Dove aveva passato la notte il Principe, con quel clima malsano? In Moschea, aveva spiegato con la stessa espressione che se avesse detto a casa di suo fratello. Sembrava stupito e un po’ divertito dalla nostra ingenuità di miscredenti.

Sono tornato nel 2001 a Imsuane e non c’erano più i tre amici di Casablanca. Non c’era più neppure Imsuane. Al suo posto un piccolo agglomerato di brutte costruzioni in cemento, un paio di locali chiassosi, e una folla di turisti giunti in macchina sulla strada asfaltata. Meno di venti anni fa.

Da allora ci sono state molte follie nel mondo, attentati, guerre, musulmani contro cristiani, cristiani contro cristiani e musulmani, musulmani contro musulmani, eserciti senza Dio contro le popolazioni civili, come se l’ ecatombe del ‘900 non fosse bastata.

Il Prinicipe avrà oggi i capelli bianchi. E mi auguro lo stesso sorriso della foto e la stessa voglia di ospitare ingenui miscredenti nella sua vecchia tenda.

Di Bac Bac