di Vito Bianco

Onore al merito di Lucky Red che, con la  Fedora di Vieri Razzini (omaggio a Billy Wilder) è la casa di distribuzione più attenta al cinema di qualità, ai nuovi talenti, anche quando talento e qualità si incarnano in opere appassionanti ma insolite e controcorrente, esplorative e irrequiete, vitali, che spingono alla riflessione e non si adagiano sul già visto e sulla comodità degli schemi consolidati.


È il caso della stregante opera terza di Jonas Carpignano (classe ’84) che arriva quattro anni dopo A Ciambra a ribadire, perfezionandoli, un occhio e una scrittura di notevole originalità e forza drammatica, senza dimenticare una già matura capacità di dare al proprio mondo poetico i contrassegni di una irresistibile necessità.


Con A Chiara Carpignano torna Gioia Tauro come per concludere un’indagine sulla marginalità e lo smarrimento giovanile, l’essere e il sentirsi eccentrici, l’apparente normalità che nasconde, per poi d’improvviso rivelare, incrinature e misteri.


Chiara è una adolescente simile a molte altre: studia, va in palestra, fuma sigarette elettroniche nella piazzetta sul mare, frequenta un affiatato gruppo di amiche, ama riamata i genitori e le sorelle: una di quattro cinque anni, l’altra più grande, Giulia, che ha compiuto diciott’anni e li festeggia in un locale con musica amici balli giochi e un padre così commosso da non riuscire a dire due parole per la figlia levando in alto il calice. Ma quest’uomo allegro e timido, legato alla famiglia, lavora per la ndrangheta, della quale è una efficiente rotella della catena distributiva del traffico di stupefacenti controllato dalla potente organizzazione transnazionale. L’indomani, dopo un’intimidazione (gli fanno saltare in aria la macchina) Claudio scompare, diventa uno dei molti latitanti che vivono come talpe in nascondigli tecnologici e primitivi a un tempo. Chiara ascolta la notizia, chiede spiegazioni alla madre, che non vuole darne, si ostina a voler vedere il padre, se lo sogna di notte e spiando i genitori nella concitata ma come irreale notte della fuga scopre, oltre l’apertura mimetizzata della camera da letto, il rifugio inaccessibile della casa, il luogo segreto e simbolico della doppia vita di Claudio.

In questo buco buio e innominabile precipita la vita di Chiara, dolorosamente segnata dall’evidenza che il padre non è quello che aveva sempre creduto fosse: un uomo affettuoso, sincero, onesto.
Potrebbe continuare a vivere come se niente fosse accaduto (è quello che fanno la madre e la sorella), sceglie invece di affrontare il trauma andando in cerca del padre, con il quale avrà infine un colloquio decisivo.

Carpignano entra con forza nel recinto della crime story nostrana (il racconto della mafia e dell’eroe mafioso) e la sovverte, sulla scia delle Anime nere di Francesco Munzi: l’asciuga, la riduce al nucleo drammatico e sociologico essenziale, mostrando la miseria esistenziale e la triste ipocrisia dei proletari del crimine, mettendo in scena una vicenda chissà quanto comune, una delle molte celate dietro le cronache eclatanti dei grandi nomi e movimenti della criminalità organizzata senza più confini ma pur sempre provinciale e berbenista. Intanto, contro il narcotico dello spettacolo di genere, Carpignano affida i personaggi ad attori non professionisti.
Poi, con sapienza tecnica, alterna riprese classiche (campo controcampo ecc.) con inquadrature piene, ravvicinate, soggettive e semisoggettive, sfocature drammatizzanti, alle quali la fotografica di Tim Curtin offre uno straordinario rilievo; ma nulla di quel vediamo esclude il punto di vista di Chiara: ogni cosa passa per la presenza vigile del suo sguardo; nessuna sfumatura dei suoi sentimenti e delle sue reazioni viene ignorata. L’effetto è quello di un documentario, di un racconto rubato da un’invisibile macchina da presa: tiene a distanza lo spettatore, ma allo stesso tempo, come per un moto di rimbalzo, lo risospinge verso una quasi totale identificazione col corpo inquieto e ribelle della ragazza Chiara, con il dilemma che la divede tra l’istinto dell’amore familiare e l’istanza etica che la spinge alla strappo.


Il film si chiude come si era aperto, con una festa di compleanno. Stavolta a festeggiare la maggiore età è Chiara, che ora vive a Urbino, lontana dai nascondigli e dai segreti, finalmente libera di scattare su una pista di atletica (è l’ultima immagine del film) incontro all’avvenire.

Di Bac Bac