di Guido Ruotolo

foto di Tano Siracusa

Dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Libia, dall’Egitto a Lampedusa, Sicilia, ma anche in Sardegna, negli ultimi dieci anni sono sbarcati 763.187 migranti. Circa 76.318 all’anno. Cioè una percentuale pari a un prefisso telefonico rispetto ai 60 milioni di italiani e agli oltre cinque milioni di stranieri residenti in Italia. Eppure sono un numero, una presenza che ha avuto la forza, la potenza di una deflagrazione in grado di stravolgere assetti politici, politiche estere, politiche interne. E ha messo a dura prova culture politiche della solidarietà.
Nel decennio precedente, quello soprattutto degli sbarchi albanesi in Puglia, sono sbarcati in Italia circa 250.000 migranti. In quel decennio e poco oltre, dalla legge Martelli a quella Bossi-Fini, il nostro Paese ha fatto politiche di emersione dei clandestini, restituendo loro una visibilità e consentendogli di uscire dal circuito illegale e criminale.
Politica abbandonata negli anni della Lega di Matteo Salvini e dei Cinque Stelle di Luigi Di Maio.
Sulla gestione dell’immigrazione in quest’ultimo decennio è cambiata l’Europa, si sono affermati movimenti primatisti, sovranisti, xenofobi. In alcuni paesi dell’est queste forze sono diventate partiti di governo, in altri hanno accresciuto il loro bottino elettorale, come la Lega in Italia.
Loro, i protagonisti, il popolo dei disperati, sono stati trattati come merce di scambio politico, come pretesto da spendersi ai tavoli di trattativa mostrando una Europa a due velocità. Quella del Nord forte coi deboli e debole coi forti. Sostanzialmente sorda, insensibile, egoista. L’Europa rivierasca, invece, stretta dagli eventi ha dovuto accettare il tavolo della politica, e dunque impegnarsi in un dialogo che molto spesso è stato a senso unico. Il mantra del vincitore è stato il rispetto delle regole, e quindi del Trattato di Dublino che obbliga al primo paese dello sbarco l’accoglienza del rifugiato.
In questi ultimi anni, dopo le primavere arabe, abbiamo avuto la crisi umanitaria in Siria, gli annegamenti di neonati e bambini, come quello conosciuto per la fotografia di Lesbo, in Grecia. E poi le decine di naufragi nel mar Mediterraneo con centinaia, migliaia di vittime.
E sarà proprio il naufragio di Lampedusa, il 3 ottobre del 2013, con i suoi 368 morti a poche bracciate dall’Isola dei conigli, uno dei luoghi magici del Mediterraneo, a cambiare il corso degli eventi così come l’avevamo conosciuto fino allora.
Fino a quel 3 ottobre accadeva che arrivavano i migranti sulle coste siciliane, calabresi, pugliesi. Venivano fermati, identificati, alcuni reclusi nei Centri di accoglienza o di identificazione in attesa che i rispettivi consolati li identificassero per poterli rimpatriare.
Negli anni il numero di accordi bilaterali tra l’Italia e i paesi di provenienza dei migranti si è molto ridotto. Così come i contratti per un lavoro stagionale.
Ne ricordo uno in particolare. Perchè fu il più terribile dal dopoguerra in poi. Quando accadde lo scoprimmo noi dei manifesto anche se poi negli anni diventò il cavallo di battaglia di Repubblica.
E’ il naufragio di Portopalo, Sicilia. Che avvenne alla fine del decennio del secolo scorso. In quegli anni ce ne erano stati altri di naufragi, uno, quello del Venerdì santo del 1997 a Brindisi, per una manovra sbagliata di una corvetta militare italiana che affondò una motovedetta albanese con un centinaio di migranti.
La tragedia si consumò la sera del Natale del 1996, fuori dalle acque di Portopalo, a una ventina di miglia dalla costa siracusana. Una scialuppa che era stata della regia marina militare inglese salpò dalla spiaggia di Malta diretta a una nave madre posizionata tra Malta e la Sicilia con l’obiettivo di traghettare a terra i suoi passeggeri.
Quella lancia ne stipò quattrocento a bordo. E andò a sbattere contro la nave madre affondando subito. Se ne salvarono una manciata e una trentina risultarono dispersi. I morti furono 368.
L’allarme fu lanciato dalla comunità pakistana e raccolto dal nostro collega Livio Quagliata che si precipitò in Grecia dove la nave madre si era diretta con i passeggeri che si salvarono, un paio di centinaia. Io fui mandato a Malta, da dove era salpata la barca che aveva fatto naufragio. E lì trovai una lancia gemella della “F 174”.
Se non ricordo male, nel tempo, la nave madre, la Yohan, fu sequestrata e ormeggiata nel porto di Reggio Calabria. Ricordo che sulle pareti delle cabine sottocoperta vi era centinaia di frasi, lettere, firme di passeggeri che volevano testimoniare la loro presenza sulla nave, che mandavano un saluto alle famiglie.
Ove l’avessimo dimenticato, quel naufragio di Portopalo, ripeto il più grave nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale, ci ricordò l’esistenza delle associazione mafiose, su base anche etnica, finalizzate al traffico di merce umana.
E’ vero che la morte, come diceva Totò, è una “livella”, ma sarebbe profondamente sbagliato non cogliere nel popolo indistinto dei migranti delle diversità culturali, etniche, religiose, economiche. Per esempio quando è esplosa la crisi in Siria, la comunità europea ha pagato un prezzo salatissimo ai turchi per calmierare, bloccare, arginare l’esodo verso l’Europa dei profughi, diretti in Europa a piedi, attraverso la rotta dei Balcani, o via mare imbarcandosi in Turchia o in Grecia.
Molte famiglie facoltose aspettarono nei campi profughi turchi fiduciose che la finisse presto per far ritorno a casa. Ma il tempo fu molto ingeneroso e tante famiglie siriane decisero di trasferirsi nel paesi accoglienti dell’Europa dove avrebbero trovato parenti e amici.
Sulle coste del Salento e della Calabria furono fermati decine di barche a vela con facoltosi passeggeri siriani.
Come si può non ricordare l’intuizione straordinaria di un sindaco di un piccolo centro calabrese, Riace, che assunse l’immigrato come risorsa. Il suo paese stava chiudendo per mancanza di nuove generazioni, loro, i migranti, trovarono in Mimmo Lucano un punto di riferimento straordinario. Nacquero laboratori e cooperative. Riace divenne un punto di riferimento internazionale.
Quel faro, però, é stato spento dalla stupidaggine dei politici e dalla malafede di una certa magistratura. Riace fu azzoppata, ferita a morte. Non è stata l’unica vittima perchè dopo quel terribile naufragio di Lampedusa, i gendarmi di “fortezza Europa” hanno fatto proseliti.
Abbiamo vissuto anni di oscurantismo, dopo. Il governo di Enrico Letta giurò che mai più sarebbe accaduta una tragedia come quella di Lampedusa. E il governo di centrosinistra decise di avviare operazioni di presidio e salvataggio in mare. Guardia costiera e Marina militare in quegli anni hanno raccolto decine di migliaia di profughi.
Che offesa il governo Salvini-Di Maio. I decreti sulla sicurezza, la caccia allo straniero e soprattutto alle Ong, le cui imbarcazioni avevano sostituito quelle “istituzionali”.
Ci sono stati anni di cortocircuito. Dopo il naufragio di Lampedusa l’Europa indifferente ha manifestato sensi di colpa. A dire il vero c’era il blocco della destra primatista di Orban e i mugugni della ricca Europa del Nord che non hanno accettato di buon cuore la politica delle quote, che nei fatti è naufragata.
Dublino è ancora lì, il governo con Minniti ministro degli Interni ha mostrato gli artigli contro i migranti indifesi e le ONG. Il 27 giugno del 2017, difronte a quattordici navi Ong con 8500 migranti raccolti in 48 ore, il governo di centrosinistra alzò la voce. Impose alle Ong un protocollo molto severo.
La politica era sempre quella: abbaiare e non mordere.
Una politica ripresa adesso, con il governo Pd-Cinque Stelle. Possiamo dirlo serenamente: a trent’anni dalle prime emergenze sugli immigrati irregolari, la situazione è sempre ingovernabile. Sono loro, i migranti, a decidere quando muoversi. E il fiume carsico è sempre consapevole che prima o dopo troverà lo sbocco per uscire in superficie.

Di Bac Bac