di Tano Siracusa

Le fotografie, in bianco e nero, sono un po’ sfocate, le inquadrature a volte incerte, i bianchi bruciati. Il mondo che evocano sembra appartenere a una leggenda. Si riconoscono Totò Tornabene, Giancarlo Marchesini, Gaspare Miccichè, Umberto Rosso, altri giovani fra i venti e i trenta anni di cui con Pepi non ricordiamo il nome, compagni che non si sa dove siano andati a finire. Lo sfondo è Villa Seta, più o meno a metà degli anni ’70. Accanto a Tornabene gente del posto, donne, molti bambini.

In una delle quattro fotografie, ripresa dal basso, si vede un piccolo corteo, qualcuno sventola una bandiera che solo la memoria colora di rosso. Lotta Continua.

Pepi Burgio mostra le fotografie, ricordando i numerosi ‘interventi’ di Lotta Continua a Villa Seta in quegli anni. La lotta per la casa che presto avrebbe avuto Lillo Miccichè per protagonista, ma anche incontri, attività culturali, anche la proiezione di film. D’altra parte la presenza di Giancarlo Marchesini, il leader del gruppo, conferma la presenza e la volontà di radicamento dell’organizzazione nel nuovo quartiere. Tutte le foto sembrano scattate negli spazi esterni del centro commerciale che Pepi Burgio ricorda animato in quegli anni, con molti negozi aperti.

Si tratta di capire come e perchè sia potuta avvenire la successiva desertificazione di quegli spazi. E quest’atmosfera di abbandono definitivo, di territorio tabuizzato. Si tratta soprattutto di capire come sia potuto esistere un posto come il centro commerciale negli anni ’70 e ’80, un impianto urbanistico prodotto dalla necessità e dalla cultura degli anni ’60, nel quale abitanti del centro storico espulsi dalla frana avevano ricostituito il centro della loro vita sociale. In controtendenza rispetto al fallimento di altri progetti astrattamente funzionali di nuove periferie, come le Vele di Scampia o lo Zen a Palermo, che non prevedeva strutture destinate all’incontro sociale. E si tratta di capire come nel volgere di pochi anni sia poi stato abbandonato e sia rimasto così a lungo in disuso. Perchè non è chiaro.

Potrebbe sembrare lo scenario di un noir. Forse è solo quello di un cambio generazionale che coincide con un cambio di orizzonte culturale, quello descritto da Pasolini negli stessi anni. La prima generazione nata nella nuova Villa Seta, quella di chi sembra avere rinunciato da adulto ai propri sorrisi di ragazzo, quelli che vediamo nelle foto, e a molte altre cose probabilmente, la cultura tradizionale, ’contadina’ dei padri, la lingua, le aspirazioni dei genitori e dei nonni cresciuti a Rabato, a santa Croce. E naturalmente anche a quei primi, nuovi fermenti ideali che attraversavano la società italiana raggiungendo anche le sue più estreme periferie.

Qualche anno prima, nell’estate del ’70, il gruppo del ‘Manifesto’, una decina di universitari, aveva organizzato un corso di recupero scolastico che si era svolto nei locali della chiesa del vecchio borgo di Villa Seta. Quattro anni dopo la frana era evidentemente impensabile organizzarlo nella Villa Seta nuova, dove si verificavano i primi insediamenti abitativi e il centro commerciale era ancora un’astratta potenzialità.

Queste fotografie pochi anni dopo lo mostrano animato, raccontano un’infanzia felice della nuova Villa Seta, confermata dalla testimonianze dei residenti che ne hanno memoria.

Quei sorrisi, osserva Pepi. E’ vero: quella foto dove Tornabene è al centro, con la barba, i ragazzi al suo fianco, la piccola folla dietro, sembra una umilissima replica del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. E’ quella fiducia, quello stare assieme in marcia col sorriso sulle labbra, che sono scomparsi.


Che la breve durata di quella stagione sia coincisa con il funzionamento del centro commerciale non è probabilmente un caso. Erano i luoghi dello scambio, dell’aggregazione, di una codificazione collettiva di valori condivisi che si trasmetteva da innumerevoli generazioni e che stava per scomparire.
Oggi sembra che i luoghi dell’incontro a Villa Seta e non solo si siano diradati, dispersi, assieme alla convinzione che la soluzione dei problemi individuali possa avere una dimensione collettiva, sociale.

E tuttavia l’alone del noir resta. Se può essere spiegata la crisi del centro commerciale è molto più difficile spiegarne infatti il successivo abbandono. L’attuale scenario dal film distopico.
Proprio perciò il progetto di recupero del centro commerciale appare storicamente opportuno e ambizioso. E’ un’occasione. Sembra assecondare infatti un bisogno di socialità, di recupero delle forme e degli spazi della comunicazione, dello stare assieme, che la crisi della pandemia ha alimentato.

Qualunque cosa preveda il piano di recupero del centro commerciale, Villa Seta può diventare in questo difficile passaggio una risorsa del territorio agrigentino.
Il verde, gli impianti sportivi, i passaggi sopraelevati, i sottopassaggi, i camminamenti pedonali e lo spazio per le auto, il paesaggio della campagna e il mare, la vicinanza al Porto, alla Valle dei templi e alla città, che potrebbe venire favorita dalla metropolitana di superficie e da un decente sistema di trasporto pubblico su gomma. Tutto questo c’è, in traccia, nascosto ma neanche tanto dal degrado. Nel disastro attuale di quei luoghi è ancora decifrabile la cifra di quei sorrisi, di quella speranza, di quella fiducia nel futuro che si coglie nelle fotografie.
Con le risorse che ha potrebbe ospitare un campus universitario, diciamo con Pepi Burgio guardando le foto di allora, quando eravamo noi gli universitari a Villa Seta.

Di Bac Bac