di Nuccio Dispenza

Dal buio possono nascere grandi cose”.. Questa è la frase che incontreremo più in là nel viaggio che Domenico Iannacone riprende su Rai3 da lunedì 30 novembre, in seconda serata, alle 23 e 15. Col suo viaggio in Italia Domenico Iannacone è tra i pochissimi testimoni di una vocazione in gran parte smarrita dal Servizio Pubblico. La sua televisione è diversa e sa raccontare un’Italia diversa da quella che passa a ripetizione nei media. Un’Italia che ci sorprende, ci emoziona, convinti, come siamo, anche a ragione, che il più è perduto. E invece, “Che ci faccio qui” ci indica la strada, come può fare un contadino col viaggiatore smarrito.   

“Che ci faccio qui” è il nuovo capitolo di questo straordinario viaggio che Iannacone ha voluto fare per l’Italia, raccontando uomini e donne che hanno storie, e storie spesso di coraggio e di resistenza. Storie che sarebbero rimaste ai margini, non viste, non ascoltate, mai raccontate, quando invece è importante cercarle, vederle, ascoltarle, farle nostre e raccontarle. Quando serve, soprattutto a chi ci sta accanto, ai nostri giovani. Spesso è un’altra Italia, apparentemente piccola, che invece si manifesta grande, ci indica da dove si dovrebbe ricominciare, da dove si dovrà ricominciare, con quali sentimenti e valori ricominciare. Anche per il tempo imprevisto che ci tocca vivere.                                                                     

Un viaggio, quello che inizia il prossimo 30 novembre, che al centro ha il corpo, le sue ferite, le piaghe, le fragilità e la forza che nasce e cresce dopo aver messo radici nei segni lasciati dalle ferite, quelle di dentro, quelle sulla pelle.                     

PRIMA PUNTATA – Viareggio, 29 giugno 2009. Alle 23:48 della sera, un treno carico di gpl lanciato a 90 all’ora deraglia in piena stazione. Il gas esplode, incenerendo tutto fino a due-trecento metri. Muoiono 32 persone e 17 restano ferite, più o meno gravemente. Tra lorola moglie e i due figli più piccoli di Marco Piagentini.
Alla vigilia della pronuncia della Corte di Cassazione su uno degli incidenti più gravi che hanno coinvolto il trasporto su ferro in Italia, Domenico Iannacone incontra l’uomo che si definisce “un miracolo vivente”. Con una forza senza eguali e dopo 60 interventi chirurgici, Marco è ancora oggi il volto e il simbolo di chi si batte per ottenere verità e giustizia per tutte le vittime di quel disastro, e dei tanti altri accaduti in Italia. Iannacone entra con rispetto nella sua esistenza segnata per sempre e in quella diDaniela Rombi, la madre coraggio che perse la sua giovanissima figlia, morta dopo 42giorni di agonia.

SECONDA PUNTATA -“Non mi ricordo quando ho smesso di camminare”, confida Max Ulivieri, siciliano, affetto da una malattia che si è manifestata quando era bambino. Domenico Iannacone va a cercarlo dopo sette anni dal primo incontro e ritrova un uomo che ha trasformato la sua fragilità in forza. “Siamo Angeli”- questo il titolo della seconda puntata – rompe il tabù del sesso vissuto dai disabili, il cui bisogno di amare è un’urgenza che non conosce limiti. “Sophie mi ha completato – dice Max parlando di sua figlia nata da poco – io l’ho voluta tantissimo, ma non riuscivo a credere che potesse capitarmi una cosa così incredibile. Invece lei mi ha dimostrato che da un corpo imperfetto può nascere un corpo perfetto”. “Siamo Angeli” è anche il racconto della storia tra Max ed Enza, la moglie, una donna che col suo amore ha scardinato stereotipi e pregiudizi. Una storia d’amore che diventabattaglia civile per il riconoscimento del diritto alla felicità di ognuno.

TERZA PUNTATA – “Ogni persona ha diritto alla felicità”, dichiara Egy Cutolo. Sette anni dopo quella puntata de “I diecicomandamenti”, Domenico Iannacone torna da chi per quella felicità ha dovutocombattere col proprio corpo. Perché Egy era Egidio, ma la sua mascolinità era solo anagrafica. E Domenico Iannacone riprende la storia di Egy là dove l’aveva lasciata, con lei ripercorre le tappe della sua vita. Un percorso doloroso quello di Egy: “A 17 anni ero in transito, mi sentivo in gabbia. E il corpo non può imprigionare…”. “Io e Te” è il titolo della puntata, il un racconto dedicato al coraggio di una donna, ma anche all’amore dell’uomo che è diventato suo marito. Dopo i drammatici fatti di Caivano, in cui ha perso la vita una ragazza la cui unica colpa era quella di amare una trans, Domenico Iannacone ci regala una storia che scardina il pregiudizio e l’isolamento di cui spesso sono vittime le persone che non si riconoscono nel sesso assegnatoli.

QUARTA PUNTATA – Come si può immaginare di poter scolpire un corpo umano nel marmo, quando si è ciechi? “Il buio fa paura, ma come tutte le cose che fanno paura attrae le persone – risponde lo scultore Felice Tagliaferri incontrato a Cesena da “Che ci faccio qui”.  “Dal buio possono nascere grandi cose”, dice Felice, 51 anni, la vista persa quando ne aveva 14, a causa di una malattia. Ma proprio nel momento più duro della sua esistenza, grazie alla scultura Felice ha ritrovato la gioia di vivere. Le sue sono creazioni di soggetti non visti, che nascono nella sua mente e neisogni per poi prendere forma attraverso le mani, guidate da un formidabile senso del tatto. Con l’arte Felice abbatte uno ad uno tutti i muri che incontra lungo la strada, fino arealizzare opere straordinarie, che lo rendono una figura unica nel panorama internazionale. Dal Cristo Ri-Velato, che rappresenta la sua incredibile risposta al divieto di toccare, alla scultura ultimata durante il lockdown, ancor più simbolica e potente: una sorta di Pietà ribaltata, il ‘Nuovo Sguardo’ rivolto dall’uomo alla donna. “La scultura mi ha cambiato la vita” – dice Tagliaferri – “Quando dò forma alle cose non so dove finisce la materia e inizia il mio corpo”. E come un umile apprendista nell’atelier del maestro, Iannacone si fa bendare gli occhi peri mmergersi anche lui nel buio. Per guardare le cose dal punto di vista di una persona non vedente. Toccando, alla scoperta del suo ‘nuovo sguardo’ sul mondo.

Di Bac Bac