di Tano Siracusa

Mi ricordo padre Gaspare a Porta di Ponte, un pomeriggio d’estate di qualche anno fa. Era prevista una festa con i migranti e stavano preparando il palco: attorno i soliti sfaccendati, qualche volontario e alcuni immigrati che sistemavano i loro negozietti portatili vicino ai bar. Un pomeriggio come un altro. Poi all’improvviso i tavoli e le sedie dei bar sono volati in aria ed è cominciata la caccia all’uomo nero da parte di poliziotti o carabinieri in borghese. Alla fine ne avevano acchiappato e ammanettato uno, un uomo di colore. E’ così che poco dopo ho conosciuto padre Gaspare: come da un pulpito o da un palco invisibili gridava che il questore aveva garantito non ci sarebbero stati incidenti prima della festa, che quella era stata un’intollerabile provocazione. Una specie di comizio, o forse un’improvvisata, ennesima omelia sulle prepotenze subite dagli ultimi, i più disgraziati. Per una decina di minuti tutti, ammanettato, ammanettatori in divisa o senza, pubblico, avevano ascoltato in silenzio, ipnotizzati, quell’iradiddio di missionario. Poi l’immigrato è stato portato nella vicina casema assieme a padre Gaspare e al fotografo che aveva ripreso tutta la scena. Documenti e via. Ma la domenica successiva don Gaspare era alla testa di un corteo contro il razzismo che da Porta di Ponte raggiungeva il teatro della Posta Vecchia, dove avrebbe parlato mons. Franco Montenegro.
In questi giorni è stato pubblicato da
Popoli e Missione un articolo di Ilaria De Bonis su padre Gaspare che trascrivo:

“Padre Gaspare Trasparano è un uomo senza paura. Uno di quei missionari che non esitano a denunciare mattanze e soprusi laddove avvengono, nei villaggi più sperduti d’Africa, a rischio della vita. Il suo essere comboniano è più che una vocazione: stare dalla parte di chi non ha voce è una condizione naturale. Il comboniano denuncia tenacemente e senza stancarsi mai quello che chiama carnage contro il popolo Nande nella diocesi di Butembo Beni, Nord Kivu, Est del Congo.
Spesso riceviamo sue lettere, messaggi e anche notizie audio, con le quali quasi in solitaria racconta dell’ennesima violenza. Ci siamo spesso chiesti da dove prenda questo coraggio.
Di recente (per l’anniversario del 15 Ottobre) ci ha inviato foto agghiaccianti di quanto avvenne sei anni fa a Beni, e un articolo di una testata locale in cui si parla del movimento citoyen (di cittadini) Nzenge Amani, e della sua opera di assistenza ai 200 ragazzini dell’orfanotrofio di Tukinge Yatima di Kasindi, rimasti senza genitori durante la mattanza del 2014, quando i gruppi armati uccisero migliaia di civili inermi.
La storia missionaria di padre Gaspare è molto interessante e spiega anche il suo grande coraggio.
Durante uno dei periodi di pausa dalla missione africana (ma non dalla missione tout court), negli anni Ottanta, padre Gaspare venne inviato a Palermo e qui divenne stretto collaboratore di padre Pino Puglisi.
«Era il mese di settembre 1988 quando mettemmo piede a Palermo nei locali attigui alla chiesa Madonna della Catena – racconta – La missione ci aveva preparati a vivere dell’essenziale per fare e rifare fagotto». Padre Puglisi divenne subito guida ed amico: «Con la sua macchina ci recavamo agli incontri regionali e ai campi scuola con i giovani. Ricordo molto bene l’accoglienza e la fiducia che ricevetti».
Il missionario abituato alla vita dura dell’ex Zaire non aveva paura di nulla, né tanto meno della mafia.
«In Zaire avevo conosciuto il carcere, gli arresti domiciliari, un processo e l’espulsione della missione per 19 capi d’accusa, tutti inventati. Processo che poi ho vinto e che mi ha permesso di rientrare in missione», ricorda.
Da 20 anni è di nuovo in Congo. Fatichiamo ad immaginare la tensione con la quale vive la sua quotidianità. È una vita costantemente al fronte. Un fronte che il resto del mondo neanche vede. Queste sono “guerre fantasma”.
Il Premio Nobel per la Pace Denis Mukwge ha denunciato di recente gli ultimi massacri nell’Est del Congo. Il villaggio di Kipupu, sul Lago Tanganyika, è stato assaltato e centinaia di persone sono morte. I missionari scelgono di restare. Padre Gaspare ce lo testimonia. Stare è un atto d’amore.”


Attualmente padre Gaspare si trova a Butembo, dove opera nella formazione di giovani missionari comboniani. Riusciamo a raggiungerlo sulla chat poco prima che vada a celebrare la messa. Gli chiedo della situazione in questi giorni : “Caotica –risponde – Ieri dalla prigione di Beni, luogo dei massacri del 15 ottobre 2014, sono evasi centinaia di prigionieri dopo un attacco di milizie. Ora vagano per il territorio creando paura. Erano prigionieri appartenenti a diversi gruppi armati che operano nel territorio. Occupano le terre ricche di risorse minerarie diffondendo il panico per costringere la popolazione alla fuga.” Sono diciotto i giovani che seguono i corsi di formazione curati da padre Gaspare. Con le altre confessioni religiose pregano assieme per Natale.

Sulla complessità del contesto in cui operano i missionari comboniani in Congo riportiamo questa testimonianza, drammatica e circostanziata, rilasciata qualche mese fa da Fratel Ivan Cremonesi.

Di Bac Bac