di Tano Siracusa

Girgenti, Porta di Ponte, 1860

Ha fatto il giro della città lo scritto di alcuni turisti che in questi giorni hanno lasciato anticipatamente un B&B in centro storico perchè trovavano insopportabile la spazzatura e la sporcizia sulle strade intorno.
Per gli agrigentini l’episodio potrebbe essere un’occasione per vedere la città con uno sguardo diverso dal proprio, che tende a ‘naturalizzare’ l’esistente. Accade ovunque, non solo ad Agrigento.
Ciò che vediamo nel cerchio delle ripetizioni a poco a poco scompare, oppure rimane percepito come sfondo oggettivo, ovvio e immodificabile: ‘naturale’ appunto. L’abitudine rende pressoché invisibili anche le meraviglie e gli orrori.
Fra le molte sfumature semantiche del verbo vedere c’è anche quella di ‘accorgersi’. Lo sguardo dell’altro può accorgersi di ciò che l’abitudine vela, occulta.


Capitale Italiana della Cultura 2025 , Agrigento – la comunità dei suoi abitanti – dovrà ora abituarsi a riconoscersi anche attraverso lo sguardo ammirato e sgomento dei visitatori davanti allo splendore dei templi e di ciò che rimane della valle, fra le case transennate e i crolli in centro storico, al monastero chiaramontano di Santo Spirito e alla Cattedrale normanna, alla chiesa settecentesca del Purgatorio e a Santa Rosalia, la cui facciata barocca è stata rimossa alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, fra le rovine di Santa Croce; e vedranno allora i sacchetti della spazzatura sparsi ovunque, anche sotto le opere di un artista sudamericano che arredano una delle pochissime piazze del centro storico sottratte alle automobili, o sotto il busto dedicato a un illustre cittadino in una centralissima Villa Comunale. Sacchetti di rifiuti disseminati ai bordi e anche al centro delle strade, anche sul ponte Morandi, sull’unica carreggiata transitabile.

E siccome certe assenze possono essere ‘viste’ se segnalano mancanze inattese, i visitatori ’vedranno’ anche l’assenza di bagni pubblici e quella dei marciapiedi, perfino in strade molto trafficate come via Garibaldi dove sorgono tre chiese, il cuore del vecchio quartiere di Rabato; e scendendo una lunga scala, inoltrandosi nel verde inselvatichito di Parco Icori ne vedranno la bellezza e l’abbandono, fino al magnifico anfiteatro mai utilizzato, immerso nella Valle e della cui esistenza pochissimi in città sembrano accorgersi.
Si accorgeranno di una città dove la dismisura verticale dei palazzoni si accompagna alla dismisura orizzontale di un tessuto urbano privo di un servizio pubblico di trasporto efficiente e affidabile. Apprenderanno che se si prende un albergo a Villaggio Mosè e si vuole andare in centro bisogna arrangiarsi, predisporsi a lunghe e incerte attese dell’autobus o chiamare un taxi molto costoso. Oppure affittare un auto, magari un grosso Suv per poi andare per strade sterrate sui monti Sicani e nei centri storici. E vedranno il centro storico della vecchia Girgenti invaso dalle automobili, vi entreranno con le loro auto, perdendosi nel labirinto viario della città medievale, incastrandosi in spazi impropri, come spaesate entità aliene provenienti da un futuro già passato.
Quello della mobilità è un problema intrecciato allo sviluppo urbanistico di una città moderna di frazioni e periferie distanziate decine di chilometri, e di una città medievale murata fino al 1860 e oggi invasa dalle auto, con un reticolo viario di viuzze, scale e cortili che ricorda quello di certe medine arabe. Un’invasione capillare. Ad Agrigento in centro storico lunghe scalinate sono state trasformate in carreggiate per far transitare le auto, piccoli cortili, anfratti provocati dai crolli, in parcheggi. È successo in molte città. A Napoli, ancora oggi, magnifici cortili di palazzi seicenteschi vengno utilizzati come parcheggi privati nel cuore della città.


Poi, alla svolta del secolo, anche in Italia è avvenuto un cambio di paradigma. Per molte ragioni: dalla disutilità del mezzo privato di trasporto, crescente con la sua stessa diffusione soprattutto negli spazi angusti dei centri storici, alla consapevolezza dei suoi costi ambientali, estetici, di socialità.


Limitare o chiudere al transito veicolare i centri storici è diventata in Europa e in molte città italiane la premessa per il loro problematico recupero. Da Bratislava a Sarajevo, da Palermo a Barcelona, da Parigi a Londra, a Perugia, Lucca, Ortigia, Erice, nella maggior parte dei centri storici di valore artistico e culturale le automobili sono state progressivamente espulse, e gli spazi liberati, visivamente svelati, hanno favorito lo sviluppo di attività commerciali sempre più legate ai flussi turistici, innescando dinamiche nuove, a volte non governate, affidate interamente alla rischiosa spontaneità del mercato che spesso travolge i tradizionali equilibri sociali.

Si è comunque dentro una idea diversa di città. Vaste isole pedonali, piste ciclabili, cura del verde, scale mobili, sono elementi ricorrenti del nuovo panorama urbanistico familiare ai viaggiatori, e bisognerà abituarsi a questo sguardo esterno, sforzarsi di confrontarlo con quello regolato dagli automatismi che sfocano e ‘naturalizzano’ la percezione della città. Che rischiano di non far più vedere il ‘già visto’, quella città insopportabilmente sporca, dall’ insensato traffico veicolare, un panorama urbano antiecologico, attardato in una fase superata della modernità.

Si può sperare che il prestigioso riconoscimento alla città ( e i soldi in arrivo) possano servire a inoltrare gli abitanti nello sguardo dei visitatori, a varcare con curiosità e interesse il confine che da quello sguardo li separa.

Di Bac Bac