di Tano Siracusa

Vita d’artista, dell’artista che per vivere deve vendere le sue opere.
Le biografie di molti artisti contemporanei non sono troppo diverse da quelle, alcune celebri, dei protagonisti della bohème parigina, che alla metà dell’Ottocento dovevano affidare le loro precarie esistenze agli umori del Salon e della stampa, ai collezionisti e ai mercanti d’arte. Monet e i suoi amici stentarono per anni a campare le famiglie.
Piero Zambuto è uno sculture (e un pittore) che vive della sua produzione artistica, immerso nel paesaggio della Valle dei templi e in quello di Linosa.

I materiali che usa, tronchi d’alberi, rottami di barche, ossa, metalli, pietre, fino alla roccia lavica di Linosa, sono quelli che raccoglie personalmente e trasferisce, spesso con difficoltà per il peso e le dimensioni, nel suo laboratorio, dove la loro superficie viene perfettamente levigata rivelando colori e geometrie sorprendenti, assumendo stilizzate forme spesso antropomorfe.


Zambuto ha vissuto in Francia, ha esposto in Italia e all’estero, ha fatto diversi lavori, anche manuali, ma già negli anni ’70 frequentava ed esponeva con alcuni fra i più importanti artisti siciliani della sua generazione. Oggi il suo corpo porta le tracce della resistenza dei materiali come sul corpo di un pugile quelle lasciate da un leale avversario.
Non è facile la vita d’artista quando dipende dal mercato, dai suoi meccanismi.

E tuttavia Piero Zambuto non vorrebbe vendere le sue opere, soprattutto alcune. Gli dispiace averlo dovuto fare e sapere che probabilmente dovrà farlo ancora.
Nel video ne discute con Daniele Moretto, poeta palermitano in visita a Linosa. Discutono anche di Pippo Rizzo, che non mette in vendita molte delle sue opere, della sua casa museo di Aragona che Zambuto ha visitato e ammirato di recente.


Questo rifiuto della separazione, come per certe madri quella dai figli, potrebbe forse essere spiegato – senza ricorrere a categorie freudiane – esplorando la dimensione totalizzante di certe esperienze artistiche. Che hanno una specie di credo: essenziali sono l’opera, la sua realtà, e l’autore, che ne è anche il miglior custode.
Farla vedere, come e a chi, quando e dove, può deciderlo meglio di chiunque chi l’ha creata. In ogni caso l’opera c’è. E resterà.
Non è, forse, un atteggiamento così raro. Degas, relativamente agiato, si separava malvolentieri dalle sue opere, da alcune in particolare.

La discussione nella calda sera linosana è animata. Daniele Moretto ha di sicuro delle buone ragioni da opporre a Zambuto, e non solo perchè di poesia si campa anche meno che di scultura.

Eppure quel rifiuto della separazione appartiene a una purezza e intensità dell’esperienza creativa, del rapporto fra chi opera e l’opera, fra chi costruisce la forma e la materia formata, che il mercato raramente riesce a intercettare. Quel rifiuto potrebbe essere come un granellino di sabbia nei suoi ingranaggi.

Di Bac Bac