di Adriana Iacono

Ph. Credits Gaspare Macaluso

l tempio, la luna, il vento e lei che cerca di accendersi una sigaretta. Che è una serata speciale si capisce già dalla linea rossa dell’orizzonte, acceso da un fuoco intenso, e dalla luna immensa che brilla quanto lei, stella, anzi star! Perché diva è diva: divinità pagana femminile, e non a caso siamo riuniti sotto un tempio ad officiare il suo rito. Lei si alza con incedere lento, sfila tra i fedeli sostenuta da ancelle che guidano il suo passo incerto, la lunga veste si gonfia smossa da folate di scirocco africano e polvere antica. Ci vuole qualche minuto prima che l’orazione cominci, nel frattempo, la bellissima vestale dibiancovestita , tesse lodi ammirata, mentre sul palco si materializzano microfoni, tavoli, poltrone e persone. Quando, finalmente, si materializza anche lei in carne, ossa, abito rosso scuro e caschetto rosa fluo, l’applauso esplode scrosciante. Letizia Battaglia, come Goliarda Sapienza, un nome, un ossimoro e un destino. La sua prima lotta sul palco è contro lo scirocco che non le permette di fumare. “Un s’addrumò.” Commenta, trattenendo tra le dita la sua sigaretta spenta. I fedeli ridono. La seconda è contro la bellissima vestale dibiancovestita, incaricata di officiare la cerimonia, la quale ci tiene a sfoggiare intelligenza oltre che bellezza e articola domande lunghe, sofisticate. “Non c’ho capito una minchia. Che vuoi sapere?” I fedeli ridono di nuovo, la bella vestale incassa e riformula. La terza battaglia è con chi le chiede un parere su alcuni fotografi siciliani maschi della sua generazione. “Sono…” lunga pausa, silenzio, “…bravi fotografi…” conclude sorniona. I fedeli capiscono, ridono e applaudono complici. La quarta battaglia è contro il suo stesso stupore. “Improvvisamente, non si capisce perché, si è svegliato tutto questo interesse per la mia persona. Oltre al documentario di Maresco, che adoro, c’è un film che circola in America e sta avendo tanto successo anche se non mi rappresenta e non ci guadagno un cazzo. Poi stanno lavorando a un altro film. Mia figlia ha letto la sceneggiatura. Lei è molto attenta e ha detto che è buona, quindi… non ci sarà una causa. ” Ride e ridiamo tutti. La quinta battaglia è cercare di raccontare una vita monumentale. “A quarant’anni ho ricominciato tutto. Sono andata a Milano perché volevo fare la giornalista ma nessuno voleva articoli senza foto. Così, per farmi pubblicare ho comprato una macchina e senza saperne niente di fotografia ho cominciato a scattare. Poi mi ha chiamato il giornale l’Ora ed ero felice perché finalmente potevo lavorare nella mia città!” La sesta battaglia è cercare di spiegare l’amore per Palermo. “Non pensavo a fotografare la mafia ma la città. Poteva succedere che la mattina andavo a fotografare morti ammazzati ma il pomeriggio mi dedicavo ai bambini, ai cortili, ad altre cose. Non c’era solo quello. Io volevo fotografare Palermo. Ho una vera ossessione per la città, i suoi vicoli puzzolenti, la sua gente. Quando sono andata a Parigi non sono riuscita a fotografare nulla.” La settima battaglia è spiegare la magia di certi scatti. “Non so come succede, di tecnica non ci capisco niente. Non è quello il mio punto di forza. Il mio punto di forza è mostrarmi come persona, espormi, prendere rischi. Chi guarda la fotografia deve capire il fotografo. La foto della ragazzina è nata per caso. Eravamo seduti al bar e c’era questo gruppo di bambini che giocava al pallone. Mi sono avvicinata, ho spinto gentilmente la ragazzina contro la porta e lei, col pallone in mano ha tirato fuori quello sguardo folgorante.” L’ottava battaglia forse non è ancora finita. “Come donna ho faticato moltissimo, senza mai guadagnare quanto i colleghi maschi. Non ero credibile: una biondina con gli zoccoli e le gonne a fiori a fotografare morti ammazzati. Spesso ho dovuto urlare per farmi notare mentre i miei colleghi venivano lasciati entrare, io venivo bloccata. Ricordo che una volta fu Boris Giuliano ad accreditarmi: fate passare la signora, disse. Poi un giorno ricevetti la telefonata. Era stato ammazzato in un bar. Era piccolo. I poliziotti mi impedirono di fotografarlo. La mafia non lo doveva vedere così piccolo. Avevano ragione, sono contenta di non avere la sua foto. C’era molto cinismo tra i colleghi maschi. Il giornale voleva le foto delle madri dei morti ammazzati per vendere di più. Un giorno un collega si recò a casa di una signora e le disse che il figlio era morto. La signora svenne e così lui fece la foto.” La nona battaglia è accettare le sfide del tempo a ottantacinque anni con l’energia di una ventenne. “Faccio foto di nudi di donna. Cerco di togliere la sessualità e riportarle alla terra. Ho già tante foto, ma non sono ancora pronta per un libro di nudi.” Rivela, lasciando i fedeli col fiato sospeso a immaginare nuove rivoluzioni. L’ultima battaglia è contro le scale sconnesse che sale a fatica, fermandosi spesso, sorretta dalle ancelle e dal caloroso applauso di tutti i fedeli. La dea pagana, cede il passo all’anziana donna fragile, la cui magnifica umanità risalta ancora più bella e potente.

Di Bac Bac