di Renato Viviani
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Ouagadougou è la capitale del Burkina Faso e Pissy è un quartiere popolare nella parte ovest della capitale. E’ qui che si trova la cava di granito di Pissy, conosciuta anche come la miniera delle donne perché a cielo aperto e ci lavorano circa tremila persone, soprattutto donne e di conseguenza bambini. E’ un mondo a parte, fatto di pietre, fatica e sudore. Sapevo di questa cava e quando mi sono recato in Burkina Faso ho cercato il modo di andarci. Sono stato fortunato un amica italiana che gestisce una ONG conosce un maestro che lavora a Pissy come insegnante di sostegno, coopera per delle ONG che gestiscono vicino alla cava una scuola materna, un asilo e un dispensario medico, sarà lui che mi accompagnerà.
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Per arrivare alla grande cava di Pissy si percorrono dalla via centrale del quartiere poche centinaia di metri di una strada in terra rossa e mano a mano che ci si avvicina il rumore incessante dei migliaia di colpi inferti alle pietre cresce di intensità come cresce il puzzo e il fumo acre dei copertoni dati alle fiamme per aiutare il processo di rottura delle rocce granitiche. Veniamo accolti da un gruppo di uomini: sono quelli che hanno il compito di controllo, ma l’amico che mi accompagna, l’insegnante, conosce tutti perciò tutto è facile. Saluti, strette di mano mi raccontano che in miniera c’è una precisa gerarchia, l’organizzazione del lavoro e il commercio delle grandi quantità di granito sono gestiti esclusivamente dagli uomini. Sono loro, inoltre, a decidere chi può entrare nella miniera e controllare la produzione. Le donne, oltre al trasporto dei materiali, si occupano dello sminuzzamento delle pietre. Tutto il lavoro è manuale e non si possono usare esplosivi siamo in piena città. Tutti lavorano a cottimo anche se sono riuniti in cooperativa. La giornata di lavoro dura 10 o 12 ore e il guadagno dipende dalla quantità di pietra estratta o lavorata. Se è stata una buona giornata, si può arrivare a guadagnare poco più di due euro. Nella cava non ci sono zone d’ombra e nelle giornate più calde è normale superare i 40 gradi.
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Attraversiamo qualche fragile capanna, le montano la mattina per ripararsi dal sole, attorno innumerevoli cumuli di pietre e moltissime donne, bambini e ragazze che con dei mortai improvvisati sminuzzano il granito. Arrivo al bordo della cava: vista dall’alto somiglia a un abisso profondo varie decine di metri abitato da migliaia di persone che salgono con in testa dei catini pieni di grosse pietre, altre che scendono e anch’io, con loro, inizio a scendere. L’odore del fumo dei copertoni che bruciano è sempre più forte, centinaia di persone lavorano sul fondo, gli uomini con grosse e pesanti mazze rompono le rocce più grandi. Alcuni bambini lavorano come venditori ambulanti di bibite, caffè e con i loro carretti passano la giornata percorrendo la cava in lungo e in largo. In un avanti e indietro incessante, le donne, spesso giovanissime e molte volte col figlio legato sulla schiena dal pagne , con il viso segnato da rivoli di sudore, portano blocchi di granito dal cratere della miniera verso la superficie. Il trasporto del materiale è pericoloso ed è difficile percorrere questi sentieri ripidi e tortuosi, quando si deve mantenere in equilibrio un carico di non meno di 30-40 chili con ai piedi delle infradito di gomma. Risalgo, sono provato, ma un nugolo di bambini mi corre incontro e urlando: “Nasara! Nasara!”, che significa “Bianco! Bianco!” La macchina fotografica regala loro piccoli momenti di svago : ridono, si indicano riconoscendosi, sono contenti, sono bambini. Almeno per qualche minuto.
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