di Mimmo Bruno

Gli incendi boschivi del patrimonio forestale pubblico sono perlopiù di origine dolosa. Lo aveva capito il giudice Rosario Livatino. Fu lui che, leggendo una mia notizia di reato, decise di approfondire la questione. Mi chiamò nel suo ufficio, in Tribunale, allora in piazza Gallo e mi diede la delega per ulteriori indagini. Da una parte il “Giudice ragazzino”, dall’altra io, Mimmo Bruno, comandante del Distaccamento Forestale. Prima di tutto, Livatino mi chiese il piano regionale sugli incendi boschivi redatto dalla Regione Siciliana a fine anni ’70  che forse pochi delle strutture regionali avevano letto. Visto e considerato che il piano della prevenzione, i viali parafuoco, nessuno li faceva nei tempi e nei modi previsti.

Accertate quelle omissioni da parte dell’ufficio pubblico regionale, Livatino accertò anche che nel caso di un rimboschimento, nell’agro di Licata, nell’area gestita dal Consorzio di Bonifica si era perpetrata una truffa aggravata ricorrendo ad un incendio doloso.  

Cosa era emerso? In pratica, la ditta appaltatrice anziché piantare alberi di latifoglie metteva nell’area soltanto rami, non alberi. Poi, qualche giorno o settimana prima del collaudo, bruciava tutto. La cenere – pensava la ditta – avrebbe cancellato la truffa. Quindi andava regolarmente ad incassare le somme elargite dalla Regione Siciliana per quel progetto di rimboschimento .

Prove alla mano, accertata la truffa, lo scrupoloso magistrato che la mafia avrebbe fermato con un commando killer sulla Caltanissetta-Agrigento, mi convocò nuovamente in Procura, ad Agrigento, per poi notificare l’avviso di garanzia al dirigente di quell’ufficio regionale con sede in un’altra città siciliana.

Indagando su quella truffa, ricordo che Livatino convocò, pure nella sua stanza, al Tribunale, anche il maresciallo Giuliano Guazzelli. Lo conoscevo solo di vista e di fama, sapevo che era un eccellente investigatore, la memoria storica di Cosa nostra agrigentina. Presentandomelo, Livatino mi disse che se avevo bisogno di collaborazione, “Guazzelli era a mia completa disposizione per qualunque ulteriore attività d’indagine”.

Da quel giorno, da quell’incontro favorito da Livatino, nacque una amicizia con Guazzelli, con lui con si intraprese un’ampia collaborazione istituzionale. Ricordo la consegna all’Arma dei locali dell’ex Stazione del Corpo Forestale di Siculiana. Per un periodo quella struttura divenne una preziosa sede operativa per i numerosi crimini di matrice mafiosa avvenuti in quel contesto, specie nel controllo della manodopera di braccianti forestali.

Quando Rosario Livatino viene ucciso, il 21 settembre del’90, quando due anni dopo, ai primi di aprile del 1993, sul viadotto Morandi tocca al maresciallo Guazzelli, naturale ripensare al perchè il giovane e scrupoloso magistrato – che aveva saputo indagare su cose dove pochi avevano posato gli occhi – perchè mi avesse messo a disposizione la grande professionalità del maresciallo. Pensando ad un personaggio, un guardiano di quella contrada degli incendi, capii che Livatino e Guazzelli evidentemente  conoscevano più di me quelle contrade e gli uomini in odore di mafia di quei luoghi..

In fatto di incendi, un ricordo personale: era il lontano 1987, quando in una riunione sindacale tra colleghi del Corpo Forestale, avevamo denunciato all’Amministrazione Regionale dell’epoca che “gli incendi boschivi erano da addebitarsi anche se non principalmente al clientelismo politico che si faceva sulla manodopera bracciantile e forestale”. Ripeto, era il 1987. Alla denuncia, apriti cielo… Quante minacce di trasferimento in questa o quell’altra piccola isola del Mediterraneo. Fortunatamente tutto si era fermato alla minaccia verbale, fatta arrivare per bocca di qualche solerte dirigente. 

Feci altre indagini analoghe in altri contesti della provincia, lì dove bruciavano boschi naturali magari per far passare un piano regolatore un pò sospetto, la cenere del bosco a favorire un piano di fabbricazione. Ne ricordo una di indagine, quella volta che incendi boschivi devastanti mi portarono in un paese dell’Agrigentino. Lì, durante le elezioni regionali, venivano fatte promesse agli operai forestali per raccattare voti. Promesse poi non tutte mantenute, seguite puntualmente da altri incendi dolosi.

Ho trattato di queste cose incontrando un giornalista di Avvenire, parlandone su L’Amico del Popolo. Il settimanale diocesano ha riportata la relazione del Presidente della Commissione Regionale Antimafia, Claudio Fava. Leggendo quella relazione mi è venuta in mente la mia collaborazione con Libera e con Luigi Ciotti sul quel feudo di 340 ettari confiscato da Rosario Livatino ad un suo compaesano, uno che a Canicattì abitava sopra di lui. Spesi parecchie energie per toglierlo dalle mani di amministratori e banche. Ma questa è un’altra storia.

Di Bac Bac