Da alcune settimane tiene banco ad Agrigento l’inchiesta della magistratura battezzata “appalti e mazzette”.
Decine di amministratori, politici, funzionari, imprenditori, professionisti sono finiti sotto inchiesta per reati di corruzione, concussione, turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, associazione a delinquere.
Circolavano mazzette per truccare le gare, si suggerivano assunzioni di manodopera, si ritardavano gli adempimenti per pilotare gli appalti verso l’impresa compiacente (anche se non aveva i requisiti richiesti: tanto le carte si aggiustano), si anticipavano finanziamenti non dovuti, si distribuivano incarichi tecnici e di controllo a persone di fiducia.

Decenni di dominio di una cricca politica inamovibile, hanno creato una rete tentacolare che va dai vertici amministrativi regionali, alla provincia, ai comuni, agli uffici periferici della regione, ai gestori di servizi pubblici; per controllare nomine, incarichi, carriere, forniture, appalti; con il denaro pubblico che lubrifica a dovere i meccanismi di una struttura capillare.
Leggendo, man mano che vengono pubblicati, i vari pezzi della trama giudiziaria che si va dipanando in questi giorni, si viene a conoscenza di un garbuglio fatto di funzioni pubbliche, compiacenze professionali, faccendieri vari, attori economici, ruoli politici, amalgamati in un sistema pervasivo dedito al malaffare.
Questo sistema illegale ha comportato ricadute gravi per i cittadini, che si sono materializzate innanzitutto con servizi scadenti, forniti a caro prezzo. Il marciume, già ben delineato dai fatti acclarati, si è reso responsabile anche di un vero e proprio furto di democrazia, incidendo pesantemente, tramite le clientele i favoritismi e gli imbrogli, nelle scelte del corpo elettorale, impedendo il rinnovo della classe politica.
Emblematici i frammenti delle intercettazioni che riguardano il voto delle ultime elezioni provinciali, con la scelta di un candidato funzionale ai desiderata del gruppo di potere egemone e il ricorso a strumenti illeciti (vedi la richiesta di foto della scheda elettorale) per il controllo della base elettorale.
Ma tutto questo era imprevedibile? Può essere considerato una sorpresa, uno scandalo per l’opinione pubblica e per il ceto politico locale? Qualcuno pensava, forse, che al potere ci fossero dei gigli di campo? Non credo proprio. Le dinamiche illecite da tempo sono largamente avvertite, se non direttamente conosciute, tanto che se ne fa oggetto di conversazione, spesso con dovizia di particolari.
Quindi, nessuno stupore.

Suscita, invece, meraviglia e tristezza che la cosiddetta società civile e la sua rappresentanza politica non siano state capaci di elaborare finora un’alternativa credibile a questo sistema di potere.
Tornando alle ultime elezioni provinciali, si nota come l’on. Roberto Di Mauro (indicato nell’inchiesta come il “deus ex machina”) abbia facilmente imposto il suo candidato, con l’avallo – questo si sorprendente – di quelle forze politiche che avrebbero dovuto svolgere un ruolo di opposizione irriducibile.
In vista della prossima scadenza delle elezioni comunali, la strada della costruzione di un’ampia area progressista e alternativa a questo sistema di potere è, quindi, quanto mai necessaria: una elementare esigenza di democrazia e di salute dell’amministrazione della cosa pubblica.
Chi ancora si attarda, tra le forze che formalmente costituiscono l’opposizione politica e sociale in città, a sostenere in ogni modo necessità “governiste”, a proporre formule fantasiose come la “maggioranze Ursula” (alludendo all’accordo in parlamento tra centrodestra e sinistra che portò alla elezione del Presidente della Commissione Europea), oppure ampie e indefinite aggregazioni pseudociviche, per mascherare il sostanziale appoggio a candidati della destra, com’è avvenuto alle provinciali, sbaglia di grosso. Oppure, è semplicemente in malafede.
I progressisti non possono concludere nessun accordo con quelle forze politiche che sostengono i governi di destra della regione e del Paese, con il civismo finto, con il sistema di potere che ha generato il verminaio scoperchiato dalla magistratura. Il loro compito è quello di offrire un’alternativa con le carte in regola a chi vuole liberare questa terra dal malaffare che la opprime, scegliendo persone di comprovata dirittura morale, cultura, competenza, visione e capacità di governo.
Le responsabilità penali dell’inchiesta in corso le fisserà la magistratura, le responsabilità etiche e politiche sono lampanti e non sarà certo qualche corifeo del potere che, con il suo garrulo starnazzare, riuscirà a convincerci del contrario.